Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 03 Lunedì calendario

REGIONI IN RETROMARCIA: IL PIL TORNA AGLI ANNI 90

Ben che vada le lancette sono tornate indietro di 12 anni, com’è successo in Sicilia e Sardegna. Ma la corsa a ritroso in altre regioni è stata anche più evidente: in Piemonte si è tornati ai livelli del 1997, in Veneto a quelli del ’96, in Trentino-Alto Adige al 1995 e in Umbria addirittura a prima del ’95, anno d’inizio della serie storica.
Pur se con impatti diversi, nessun territorio si è sottratto a un processo di downsizing noto su scala nazionale, ma che il Centro studi Sintesi ha declinato a livello territoriale in esclusiva per il Sole 24 Ore. Dal Pil alla spesa delle famiglie, agli investimenti, il think tank veneto ha preso a esame i valori reali – depurati quindi dall’effetto dell’inflazione – verificando sia la variazione rispetto al 2007 sia la misura dell’arretramento. «Con la pubblicazione della banca dati Istat sui conti economici regionali si possono cogliere diversi spunti delineando il comportamento delle economie territoriali dall’avvento della crisi in poi», ha sottolineato il direttore del Centro studi Sintesi Catia Ventura.
Un’indicazione di fondo e comune a tutti comunque c’è, con l’affondamento progressivo nel gorgo di una crisi che ha falciato in tutte le regioni. E così, guardando alla ricchezza prodotta a livello aggregato, dai dati emerge una caduta del Pil più profonda nel Mezzogiorno (-6,8% fra 2007 e 2011), tornato ai livelli del 1999. La regione che più di tutte ha patito è il Molise, con un Pil reale sceso dell’11,6% rispetto al periodo pre-crisi.
L’analisi del Pil per abitante è tuttavia peggiore, con corse all’indietro ancora più spedite, in un corto circuito generato da economie in flessione e dinamiche demografiche che puntano invece verso l’alto. L’Umbria con il suo -10% di Pil reale fra 2007 e 2011 è quella che più ne fa le spese. E in tutta la serie storica non si riesce a scovare un livello di Pil pro capite peggiore.
«Qui da noi l’arretramento si nota, eccome», sentenzia il presidente della Confindustria regionale, Umbro Bernardini. «Può darsi – aggiunge – che prima del ’95 la nostra posizione a livello nazionale fosse migliore. Ma ciò non toglie che invece di recuperare abbiamo perso terreno. Il messaggio ormai lo ripeto da tempo, inascoltato. Siamo in un territorio di confine e stiamo scivolando verso quel novero di zone dove si sta smettendo di vivere di industria e di attività d’impresa».
Riproponendo lo stesso esercizio per la spesa delle famiglie su base pro capite, la flessione fra 2007 e 2011 è stata del 3,6% a livello nazionale. Il segno meno ha coinvolto la spesa in tutte le 20 regioni riportando i consumi per abitante al di sotto dei livelli del 2000. Solo in Friuli-Venezia Giulia, Molise e Basilicata si sono attestati su soglie superiori a quelle dell’anno del Giubileo. All’altro capo c’è sempre l’Umbria a vestire la maglia nera, con il peggior trend nel 2011 rispetto all’anno pre-Lehman Brothers (-8,4%).
Se questo è il "Come eravamo" dei nostri portafogli, c’è anche il versante degli investimenti, legati soprattutto alle attività produttive, a pesare sulla frenata dei Pil regionali. In Italia la rasoiata in termini reali è stata del -13,2% fra 2007 e 2010 (ultimo dato disponibile), facendo tornare gli investimenti indietro fino al 1999. Su questo capitolo spicca il +7% (miglior risultato) dell’Umbria che mal si concilierebbe con l’arretramento del Pil. La spiegazione sta però proprio nei numeri contenuti. E piccole oscillazioni in valore possono anche significare variazioni percentuali significative.
A pagare dazio sono invece la Basilicata e soprattutto la Campania, in cui la flessione è stata del 25,7 per cento. Per entrambe le regioni è come se si fosse ritornati a prima del 1995. «Non mi meraviglio. Perché – si chiede il presidente di Confindustria Campania, Giorgio Fiore – gli imprenditori dovrebbero avere interesse a investire qui da noi? Abbiamo uno dei più alti carichi fiscali, dovuti anche alle imposte locali; abbiamo una Pa che non funziona e un territorio tutt’altro che vivibile. Va sempre peggio e non potrà che peggiorare se l’impresa non sarà messa al centro delle politiche».
Nel frattempo la crisi ha trasferito i suoi effetti sul mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che ha raggiunto in alcune regioni (Valle d’Aosta, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Marche) livelli mai sperimentati negli ultimi vent’anni. In Italia a ottobre si è sfondato il muro dell’11 per cento. A livello territoriale il Centro studi Sintesi ha analizzato la media dei primi due trimestri del 2012. Il risultato è un Mezzogiorno che detiene, irraggiungibile, il record dei senza lavoro: 17,4%, quindi 6,4 punti percentuali in più rispetto al 2007. «La disoccupazione – precisa Catia Ventura – affligge però tutti. Nel Nord-Ovest il tasso medio dei primi due trimestri è dell’8,1 per cento e nel Centro del 9,2 per cento. Nel Nord-Est ci si attesta su un più basso 6,6 per cento: ma è una soglia che non si registrava dal lontano 1994».