Guido Ceronetti, La Stampa 2/12/2012, 2 dicembre 2012
INVECCHIO E NON SO CHI SONO MA NON RIDATEMI GLI ANNI FELICI
Nelle vecchiaie solitarie, la diversità sessuale ha uno dei suoi culmini. Dal grado di felicità reperibile e sognabile, e da quello d’infelicità tollerata, la misuriamo.
La donna sola trova, nell’invecchiare, più modi per felicità residue e sopporta meglio, e ben più a lungo, le ustioni che a tutti infligge, senza remissioni, l’infelicità crescente, il mal di vivere che spesso è nuovo ogni giorno, mentre la carne s’indebolisce. Nella coppia che invecchia unita, brava nell’inventare motivi per amarsi ancora che non siano facciata, l’unione Ying-Yang (L’Ombrail Sole) può essere ineffabile forma scudante, ma la rarità dei casi esclude la regola. Ma non parliamo di uguaglianze! Ricordo una coppia di vecchi unitissimi. Lui improvvisava: -Sai, mi è venuta una gran voglia di una partita a carte!- E lei subito: -Oh sapessi! Anche a me...- E tirava fuori le carte, tuffata nella noia che se ne sarebbe accorta una caffettiera. Succedeva ogni sera, finché lei si rifugiò nell’Alzheimer.
La superiorità maschile, nei casi di vecchiezze vedovate o da sempre solitarie, di più patire infelicità e decadenza, è manifesta. Ce la teniamo e nessuno può contestarcela. Il suicidio di uomini soli e malati è abbastanza frequente; di donne invecchiate, con ogni specie di malanni, è inesistente. (Mettiamoci un quasi, perché di vecchiaie stiamo riempiendo la terra, tra lo stupore delle tartarughe).
La casa detta «di riposo» (come se ci fosse dato di riposare!) è meno amara per le donne; è invece un supplizio per gli uomini, che ci vanno col voto a se stessi di creparci al più presto. L’infelicità maschile tocca apici se accompagnata dalla lucidità filosofica e da un occhio che vede la condizione comune circolarmente. «Laudate sie mi Signore per sora nostra morte corporale...» Mazal tov . Buona Fortuna.
Alle donne, una volta procreato, provviste di figli premurosi, allucinate dalla nonnità, il Desiderio non dà più tormento: si rassegnano alle ultime attenzioni del loro vecchio, arrivano a compiacersi d’ingrassare. Generalmente, in una lunga vita, non s’innamorano e amano più di una o due volte. Marlene Dietrich mostrava ancora, a settantanni, le gambe di Lola ma, grande amatrice di uomini e donne, visse oltre i novanta: avrà trovato, cercato amori ancora? E a Leonor Fini, in una casa che emanava occhi di gatto da ogni angolo, quasi immobile, sfinita, intensa, davano ancora un tuffo le sue visioni saffiche? Una signora intelligentissima, di oltre settanta, a Roma, molti anni fa, mi diceva «No, non c’è età, neppure per le donne» e custodiva un suo dramma alla Mauriac. Di quel che nasconde il silenzio femminile nulla o ben poco trapela; è l’ultima, impressionante apparizione della Sfinge.
Nelle società primitive non c’era posto per i vecchi maschi. Soltanto alle donne, nel matriarcato, era permesso vivere a lungo. Gli uomini si davano volontariamente, intrepidamente, senza «nessun conforto stolto» in pasto alla Natura a alle sue creature carnivore, che li eliminavano senza pietà. Altro che foto di amanti alle pareti o nei cassetti! Che cosa canta l’immenso Jacopone? Elégomi per sepoltura ventre di lupo in voratura ... Sì, quello era un finire, in mancanza di Termopili o di passaggio dell’Ebro... Sospetto che certi brillanti cercatori di funghi, che si allontanano da casa soli, inutilmente dissuasi da stolti ragionanti, e a casa ritorno più non faranno, non sentano altro richiamo. Una luce finale li guida, un miraggio lontano, un lumino di fate del bosco dalla voce di sirena.
Gli antichi filosofi, dice Hillman (nel suo saggio pieno di forza Il suicidio e l’anima , Adelphi 2010) guardavano la vita attraverso le occhiaie del teschio, che sul tavolo gli ricordava la morte. E con la vita anche l’amore, quanto di più forte per contrastare la morte abbia la vita, passa attraverso le occhiaie vuote, se vuole essere compiutamente Eros. E nella gemellità insorpassata Eros-Thanatos la vecchiaia è implicata più che in ogni altro riferimento, con echi di singhiozzi, di lutto e di vertigini. Perché passione e desiderio sono i due cherubini d’arca, i cani che sveglia il minimo fruscìo, delle nostre inverosimilmente protratte esistenze di geronti.
Nel capolavoro di Sam Beckett L’ultimo nastro di Krapp , gridano Eros e Thanatos fin dal titolo, fedeli nel loro abbraccio. L’ultima didascalia è un suono sepolcrale che si perde nell’etere: «Il nastro continua a girare in silenzio». Il vecchio Krapp riascolta la propria voce registrata nel tempo. Stralcio, ma tutto è ordito di profondità: «Che cosa resta di tutto quel dolore? Una ragazza in un logoro cappotto verde sulla banchina di una stazione? No?». Difficile trovare e mettere in scena un testo drammatico più straziante. Il finale cancella tutti i rimpianti del vecchio: degli anni felici è detto: «... non li rivorrei indietro. Non col fuoco che sento in me ora. No, non li rivorrei indietro».
L’inaccessibilità dell’Amore Infinito pone la realtà dell’amore che ci tiene incollati alla finitudine dei corpi finiti: questa la nostra frontiera, senza soccorsi di Schengen. E dal momento che il guazzabuglio psichico, il corpo eterico, di un uomo invecchiato col sentimento tragico dell’essere è un paradosso incessante, tra frustrazioni e speranze, trabocchi d’estasi e brutali facili sconforti, l’oggetto delle passioni senili è inevitabilmente la donna molto giovane, incapace per lo più di comprenderle e medicarle.
Invecchio: dunque, chi sono? Chi e come sarò domani? Serve a qualcosa la filosofia? No, neppure io, come Krapp, quegli anni li rivorrei indietro.