Sergio Rizzo, Corriere della Sera 01/12/2012, 1 dicembre 2012
SE L’OSPEDALE DEL PAPA PERDE IL PRIMATO —
Per quelli che scuotono la testa davanti ai tagli, e buttano lì la solita frase «ma quanto crede che poi si risparmi…», Enrico Bondi ha sempre una battuta pronta: «Anche un euro in meno è un risparmio». E gli chiude la bocca. Il concetto lo ripete ogni volta. Perché entri bene in testa ai suoi interlocutori qual è la missione che gli è stata affidata nel momento in cui, il 16 ottobre scorso, Mario Monti l’ha nominato commissario per la sanità della Regione Lazio: ridurre le spese. Senza compassione e senza guardare in faccia a nessuno.
Ma questa volta, si lamentano al Policlinico Agostino Gemelli, c’è andato giù davvero pesante. Così pesante che quando hanno letto i decreti con l’elenco dei tagli, reparto per reparto, poco c’è mancato che gli pigliasse un colpo. La calcolatrice s’è fermata a 28.931.611 euro. Cinque dei quali per la sola emergenza del pronto soccorso. Una botta tremenda, pari al 30 per cento dell’intero taglio assestato al budget di tutta la sanità «accreditata» del Lazio, cioè di quelle strutture ospedaliere private finanziate dai fondi pubblici regionali. Tale da «compromettere», hanno scritto in un comunicato senza precedenti, il piano strategico che già prevede un giro di vite di 70 milioni e punterebbe al raggiungimento dell’equilibrio economico nel giro di un paio d’anni. Una formula che evidentemente lascia aperta per il futuro ogni prospettiva: anche quelle meno augurabili.
Come si è arrivati a questa situazione è presto detto. Intanto la moltiplicazione dei policlinici universitari. Il Gemelli è uno di questi: controllato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore attraverso l’Istituto Toniolo, è uno degli ospedali più grandi d’Italia. Ha 4.344 dipendenti, 1.777 posti letto, ogni anno ricovera 100 mila persone e accoglie 17 mila pazienti provenienti da altre Regioni. Segno che è considerata una delle strutture sanitarie di miglior qualità del Paese.
Ma i policlinici universitari hanno anche un’altra particolarità. Ne è convinto Bondi: quando l’università si unisce alla sanità, finisce per succhiare maggiori risorse. La struttura dei costi è più elevata rispetto a quella degli ospedali non universitari. Gli investimenti sono certo superiori, ma lo sono anche le spese correnti. Il problema si dovrebbe affrontare per prima cosa separando le due funzioni, ma superare le resistenze della lobby dei medici professori (che in base alle norme percepiscono lo stipendio da docente più una indennità assistenziale) non è cosa da poco. Su 876 medici, al Gemelli appena un’ottantina non sono professori. Come non è facile risolvere tecnicamente le commistioni storiche fra l’una e l’altra funzione. Basti pensare che al Policlinico statale Umberto I ben 3 mila portantini risultano dipendenti dell’Università.
Per non parlare del numero di queste strutture. A Roma esistono cinque policlinici universitari: troppi. Due di questi, il Gemelli e il Campus Biomedico di Trigoria, sono privati a tutti gli effetti ma hanno un solido legame con le alte gerarchie ecclesiastiche. Il primo è l’ospedale che cura i pontefici di turno, il secondo è nato sotto la spinta di Alvaro Del Portillo, prelato dell’Opus dei beatificato da Joseph Ratzinger qualche mese fa. E se è improprio parlare di una concorrenza interna, certo è una duplicazione che salta all’occhio.
Va aggiunto che il personale del Gemelli aveva un trattamento economico migliore rispetto a quello degli altri ospedali, e anche qualche benefit in più. Altri tempi: ora insieme al giro di vite sui costi sono arrivati il taglio del personale (da gennaio si è ridotto di 200 unità) e la cassa integrazione. Ma negli anni di vacche più o meno grasse l’andazzo era assai diverso. Esisteva la ragionevole certezza che a fine anno il servizio sanitario ci avrebbe messo la solita pezza. Con la presunzione che comunque non era il Gemelli l’anello debole della catena. Un ospedale grande, di qualità, potente. Così da non essere mai trattato come un figliastro: piuttosto, alla stregua di un figlio prediletto. Finché, nel 2011 le difficoltà economiche sono state tali da costringere l’Università a tirare fuori un centinaio di milioni di tasca propria per sistemare il bilancio del Gemelli.
E poi, la mazzata di Bondi: un taglio secco del 6,85 per cento del budget 2012. A un mese dalla chiusura dell’anno con tutto ciò che ne consegue, visto che quei soldi erano stati già impegnati. Per paradosso proprio nel momento in cui logica diceva che ci si doveva attendere dal governo di Mario Monti massima protezione. Non fosse altro perché ben due ministri vengono dalla Cattolica. Sono il responsabile della Salute, Renato Balduzzi, e il suo collega dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi: il quale, prima di entrare al governo, dell’Ateneo che controlla il Gemelli era addirittura il Magnifico rettore.
La mazzata, inoltre, sarebbe stata più sopportabile se la situazione finanziaria non fosse quella che è. Il Policlinico ha 800 milioni di debiti, la maggior parte con le banche. Questo perché la Regione Lazio ha pagamenti arretrati di analoga entità nei suoi confronti del Policlinico. Ma prima o poi arriveranno, penserete. Già. Però intanto gli oneri finanziari corrono, e poi c’è una bella spada di Damocle. Perché di quegli 800 milioni una bella fetta riguarda un arbitrato concluso nel 2009 e relativo a una vecchia pendenza. Cioè i fondi statali per la copertura degli oneri contrattuali e l’esclusività dei medici: 300 milioni più interessi, annessi e connessi.
Un arbitrato coi fiocchi. La Regione Lazio aveva messo in campo l’ex ministro della Funzione pubblica Angelo Piazza, e presidente del collegio era nientemeno che Giancarlo Coraggio, futuro presidente del Consiglio di Stato che giovedì è stato eletto dai suoi colleghi giudice costituzionale. L’esito era stato favorevole al Gemelli, ma la Regione ha deciso comunque di fare ricorso e tutto è tornato in alto mare, aggiungendo al gigantesco volume di debiti una sgradevole dose di suspence.
Il fatto è che il Policlinico romano fa le spese di una situazione degenerata lentamente, senza che nessuno abbia mai cercato di porvi rimedio. Conseguenza, questa, dell’assoluta mancanza di scelte strategiche basate sul merito e la qualità del servizio. Quali strutture meritano non soltanto di sopravvivere, ma anzi di essere potenziate e ricevere più finanziamenti? Quali, invece, non hanno senso, e vanno soppresse? Negli ospedali del Lazio ci sono 1.700 posti letto in più: nonostante questo il servizio sanitario nazionale continua a pagare un numero rilevante di cliniche private convenzionate, alcune di proprietà di soggetti legati ai politici. Quando non politici in prima persona. Altro che il Papa...
Sergio Rizzo