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 2012  dicembre 03 Lunedì calendario

FAR EAST

[µercato dell’arte boom a Pechino ora vale più di New York] –
Il mercato dell’arte è uno tra gli indicatori più precisi della crescita di ricchezza di una nazione. Vent’anni fa la Cina non era nemmeno un mercato. Oggi è il primo al mondo e rappresenta il 55% del valore mosso dalle case d’asta. Nel 2012 il giro d’affari ha superato i 6 miliardi di dollari e Pechino ha realizzato un quinto di vendite in più rispetto a New York. Per cinque secoli Sotheby e Christie, le prime due case d’asta del pianeta, hanno dominato il settore. In soli ventisei anni le cinesi Poly International Auction e China Guardian sono diventati il terzo e il quarto grossista globale di opere d’arte e minacciano ormai il primato dei più blasonati concorrenti. Entro il 2020 vivrà in Cina il numero più alto di miliardari, l’Asia sarà l’epicentro della ricchezza e per i beni d’investimento di fascia alta si annuncia un nuovo boom. La nuova meta degli investimenti non è causata solo dall’aumento della liquidità. Pechino sta facendo ordine tra i nuovi ricchi, sottoposti a controlli sempre più rigidi. L’immobiliare cala, i mercati finanziari crescono meno del Pil, i tassi d’interesse sono bassi e i grandi capitalisti dell’Oriente chiedono parcheggi sicuri per i propri patrimoni. Pechino e Hong Kong segnano così il record delle transazioni artistiche, spingendo verso il tramonto le storiche piazze europee e americane. Poli International, fondata dall’Esercito popolare di liberazione
e controllata dal governo cinese, in due giorni ha battuto opere per 67 milioni di dollari e un solo dipinto, di Zhang Daqian, ha fruttato 48,8 milioni di dollari di Hong Kong. La Guardian, guidata dalla figlia dell’ex leader cinese Zhao Ziyang, ha fatturato 59 milioni di dollari, due volte e mezzo la stima pre-asta. A spingere la Cina alla testa del settore contribuisce la nuova considerazione pubblica dei collezionisti. Possedere opere importanti, dopo gli anni della condanna maoista, torna a rappresentare uno status symbol positivo. Emerge però anche un fattore politico, legato al nazionalismo. Il lusso cinese, dai gioielli alla pittura e dalla ceramica all’antiquariato, diventa un certificato di patriottismo gradito al potere e le case d’asta cinesi vengono individuate come i mercati ideali per trasformare il denaro in capitali esenti da imposte. Per gli investitori comuni esiste in Cina anche una serie di fondi legati all’arte, che nei primi mesi dell’anno hanno raccolto quasi un miliardo di dollari. La crescita maggiore riguarda però le case d’asta, che chiuderanno il 2012 con proventi attorno al più 8%, rispetto al meno 2% nel resto del mondo. La crisi del resto non risparmia nemmeno quadri e sculture. Rispetto al 2011 la flessione sfiora il 50% e Hong Kong è la capitale che ne risente di più. «I cowboy stanno lasciando la città», ha commentato Francois Curiel, presidente di Christie’s in Asia, alludendo agli speculatori che negli ultimi anni avevano proiettato i prezzi alle stelle. La maturazione del settore fa così emergere la nuova guerra tra i grandi mercanti, con i cinesi pronti a sorpassare gli inglesi. Nei giorni scorsi il testa a testa in contemporanea tra Christie’s e Poly Auction, ad Hong Kong, è stato vinto dalla casa più blasonata solo grazie ad alcune etichette di vini, che hanno portato il giro dei due giorni a 101,6 milioni di dollari. Negli ultimi due anni il 46% delle offerte più alte per opere d’arte è stata fatta però da collezionisti cinesi e per la prima volta l’arte del Dragone comincia ad attirare grandi capitali dall’estero. Gli investimenti calano, i lotti migliori crescono e quelli minori spariscono: la Cina conquista le aste del lusso e diventa il termometro globale dell’invocata ripresa.