Marco Panara, Affari&Finanza, la Repubblica 3/12/2012, 3 dicembre 2012
TELECOM: LA RETE, LA7 E IL SUD AMERICA I SOCI TELCO NEL “TRIANGOLO” DI BERNABÈ
[Per le strategie servono risorse a cui gli azionisti, finora concentrati sulla riduzione del debito e sui dividendi, non danno via libera. e il titolo non si muove da 0,70. giovedì il management cerchèrà di mettere il cda di fronte alle sue responsabilità] –
G enerali, Intesa San Paolo, Mediobanca e Telefonica hanno chiaro il problema. Hanno comprato azioni Telecom pagandole 2,8 euro l’una, dopo svalutazioni sanguinose le hanno in carico a 1 euro e mezzo e il titolo vale poco più di 70 centesimi. Non è tutto: sanno che la redditività di quell’investimento basterà più o meno a pagare gli interessi ma nel prevedibile futuro non per rimborsare il debito con cui l’investimento è stato finanziato. La seconda cosa che i quattro grandi azionisti sanno ma fanno finta di non sapere, è che la causa del problema non è Telecom ma loro stessi, che hanno strapagato quelle azioni per salvare la Pirelli, che infatti va a gonfie vele, ma della quale non sono azionisti. D i quell’operazione si ritrovano quindi i costi ma non i benefici. La questione è che se conoscono il problema e (pur nascondendosele) le sue cause, non ne conoscono però la soluzione e sperano che sia Telecom a trovargliela. Fino ad oggi Telecom non sembra averla trovata né ci sono ragioni per ipotizzare che nel consiglio di amministrazione di giovedì prossimo dal cilindro di Franco Bernabè possa uscire l’agognato coniglio. In realtà va detto che i quattro grandi azionisti di Telecom oltre ad essere incauti nel prezzo pagato sono stati anche sfortunati perché hanno incrociato un periodo nero per il settore delle telecomunicazioni dell’Europa continentale. Se infatti le azioni di Telecom Italia negli ultimi due anni hanno perso il 29,7 per cento del loro valore, France Telecom nello stesso periodo ha perso il 51, Telefonica il 41, Deutsche Telekom, che pure ha come mercato domestico la virtuosa Germania, ha anch’essa ceduto il 16 per cento. Il motivo per cui le tlc soffrono e fanno soffrire gli azionisti è che gli anni d’oro del vecchio modello di business fatto di rendita di monopolio sul fisso e di mercati in crescita per il mobile è giunto a maturazione e di quello nuovo, nel quale domina il traffico dati, fino a questo punto a guadagnare sono soprattutto le varie Google, Facebook e via elencando che sulle infrastrutture di telecomunicazioni fanno passare i loro dati ma a chi gestisce quelle infrastrutture lasciano solo le briciole. Per rilanciarsi le telecom hanno una sola strada, investire. Ma tutte, inesorabilmente, sono alle prese con lo stesso problema che oggi attanaglia l’intero mondo industrializzato, i debiti. Anche qui Telecom Italia non ha l’esclusiva di un debito troppo elevato. Il suo è pari nel 2012 a 2,4 volte l’Ebitda, con la tendenza a scendere a 2,3 volte nel 2013, ma i gruppi comparabili non sono molto lontani. Deutsche Telekom, quella che sta meglio, ha un rapporto debitoebitda pari a 2,1, France Telecom è a 2,3, Telefonica a 2,5. E poi, secondo corno del dilemma, dove e in che cosa investire? La grande stagione delle acquisizioni è finita, nei paesi emergenti i prezzi sono ormai troppo alti e quello che si vede sono solo operazioni di consolidamento nei mercati dove si è già presenti. Quindi non è la geografia ad offrire uno sbocco. La sola strada è la tecnologia, con l’obiettivo di ritagliarsi una fetta più grossa nella catena del valore del traffico dati, il mercato che cresce di più. E qui siamo al dilemma che il consiglio di amministrazione di Telecom Italia di giovedì 6 dicembre dovrebbe sciogliere. Come, quanto e in che tempi investire nella rete a banda larga e se farlo da soli o insieme ad altri. Un dilemma da sciogliere per tutti e due i mercati nei quali Telecom è presente in maniera importante, l’Italia e il Brasile. Non è una decisione facile. Negli investimenti sulle reti a banda larga tutta l’Europa continentale si muove con molta prudenza. Deutsche Telekom, France Telecom e Telefonica ci vanno con i piedi di piombo, perché le risorse sono scarse, la domanda non ancora tale da giustificare investimenti massicci e perché il mercato di questi tempi non apprezza voli pindarici. Telecom è un po’ indietro rispetto alle altre ma non di molto se si tiene conto delle caratteristiche dei rispettivi mercati di riferimento. La lentezza ha anche un’altra motivazione, l’Europa, che in questo settore regolato ha molta voce in capitolo. Bruxelles giustamente ritiene importante per la crescita complessiva dell’economia che ci sia un’ampia diffusione della banda larga, ma le sue politiche fino ad oggi non si sono dimostrate molto efficaci nel raggiungere questo obiettivo. Fino a giugno scorso agitava il bastone: abbassare le tariffe per il traffico sulla rete di rame rendendola così meno conveniente per spingere le telecom a investire nella rete di fibra. Poiché il bastone non ha funzionato sembra che si stia oggi passando alla carota: offrire una remunerazione adeguata a chi gestisce in maniera aperta la rete di rame in modo da consentire di avere le risorse per investire sulla fibra. Vedremo se la carota riuscirà dove il bastone ha fallito. Ma il contrasto tra Bruxelles e i governi di molti paesi da una parte e gli operatori di telecomunicazioni dall’altra è nella filosofia. Le istituzioni sono per sviluppare l’infrastruttura per creare il mercato, secondo quella logica virtuosa in base alla quale l’Italia per esempio decise di costruire l’Autostrada del Sole assai prima che il traffico la giustificasse. Le telecom sono invece per seguire il mercato, ovvero costruire le infrastrutture man mano che si crea una domanda capace di remunerarle. Ovviamente - in questo caso - le istituzioni che guardano allo sviluppo generale hanno ragione, come ebbe ragione l’Italia a costruire l’Autostrada del Sole, ma la ragione senza i denari non basta e le telecom operano con denari privati che non guardano per definizione allo sviluppo generale bensì al ritorno particolare. Tuttavia la necessità degli investimenti c’è, per le telecom e per lo sviluppo generale, e qui il dilemma si sposta su un altro piano: come finanziare quegli investimenti? Telecom Italia è esattamente in questo passaggio, da un periodo in cui tutte le energie sono state focalizzate sulla riduzione del debito ad una nuova fase in cui rilanciare gli investimenti per essere al passo con i tempi e aprire nuove prospettive di redditività. E’ un cambio di fase evidente, nel quale entrano le proposte, considerate poco realistiche, del magnate egiziano Sawiris di entrare nel capitale, le ipotesi di acquisto della Gvt che risponderebbe in parte al bisogno di cavo che Telecom ha in Brasile, il defatigante negoziato sullo scorporo della rete fissa in Italia e l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti. Di tutte e tre le cose la più concreta ad oggi appare quest’ultima. I grandi azionisti di Telecom non sono disposti a lasciare entrare Sawiris in Telecom ad un prezzo pari alla metà di quello al quale hanno loro in carico le azioni mentre Telecom non ha presentato un’offerta per la Gvt (anche se la partita è ancora aperta). L’opzione scorporo della rete e ingresso di Cdp è invece tanto aperta quanto complicata. Delle telecom europee solo Bt ha scorporato la rete ma possiede il 100 per cento della società che la gestisce, mentre gli unici casi di scorporo e cessione della proprietà della rete sono in Australia e Nuova Zelanda. C’è una ragione per la quale scorporo e cessione anche parziale della rete non sono state fin qui di moda ed è che da un punto di vista industriale di lungo periodo qualsiasi telecom ha tutto il vantaggio a controllare e gestire il suo asset principale. La novità è che su quell’asset, che in tutta Europa è stato costruito quando le telecom erano pubbliche, oggi c’è da investire massicciamente e le telecom da sole non sembrano avere i mezzi per farlo, quantomeno nei tempi relativamente brevi che richiede il rilancio dell’Europa, che quel mercato non si può permettere di seguirlo ma ha bisogno di crearlo. A fronte di uno svantaggio industriale di lungo periodo tuttavia, Telecom Italia, dallo scorporo seguito dall’ingresso di Cdp potrebbe avere alcuni vantaggi finanziari di breve periodo. Potrebbe incassare alcuni miliardi e potrebbe avere un partner finanziario per gli investimenti. Avrebbe inoltre una decisa copertura politica ed eliminerebbe il rischio (poco elevato in verità) della nascita di una rete parallela e in competizione con la sua. I suoi azionisti, preoccupati dalla situazione a breve del titolo e assolutamente indisponibili a mettere nuove risorse per finanziare gli investimenti, sembra vedrebbero questa soluzione di buon occhio. Stando così le cose il management, che è sensibile agli interessi industriali dell’azienda ma sufficientemente realista, si presenterà al consiglio del 6 senza una posizione predefinita, metterà sul tavolo tutti gli aspetti e le convenienze relative di ciascuna soluzione e lascerà che sia il consiglio a decidere o quantomeno a indicare la strada. In vista dell’appuntamento del 7 febbraio del 2013, quando arriveranno i dati preliminari e verrà presentato il piano industriale, l’ultimo di questo consiglio che scadrà nel 2014.