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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

ELOGIO DELL’ANTIFRAGILITA’

Se siamo nei guai, come in effetti siamo a causa di questa dannata crisi, è anche perché negli ultimi decenni il mondo è stato dominato dal «fragilista» — dice Nassim Nicholas Taleb. Questa figura dominante, che dovremmo imparare a tenere a bada, presenta caratteri chiari: «Il fragilista prende una cotta per l’illusione harvardiano-sovietica, la (non scientifica) sovrastima della portata della conoscenza scientifica». Appartiene — aggiunge affinché lo individuiamo a prima vista — «a quella categoria di persone che di solito sono in abito e cravatta, persino il venerdì», siede a una scrivania, viaggia molto in aereo e «spesso è coinvolto in uno strano rituale, qualcosa di solito chiamato "meeting"». Soprattutto, crede che quello che non vede non esista, «al nocciolo, tende a confondere lo sconosciuto con il non esistente». L’antidoto al fragilista è l’antifragilista.
Dietro a questa conclusione sta una costruzione teorica che Taleb spiega in un libro appena pubblicato in America da Random House, Antifragile. Things that Gain from Disorder («Antifragile. Cose che dal disordine ci guadagnano»). Non è un’interpretazione della realtà nuovissima, però oggi è una sfida aperta al pensiero dominante.
Già Taleb, 52 anni, è una persona interessante. Studia e scrive, ma solleva anche pesi: si definisce «un intellettuale che ha le sembianze di una guardia del corpo». Dunque va a nozze con la polemica: nei giorni scorsi ha fatto a pugni, via Twitter, con il quotidiano «Financial Times» (Ft) online in seguito a una recensione del libro a suo avviso non professionale: «Con il vostro sensazionalismo — ha scritto — state svilendo l’Ft a giornalismo da sub-tabloid». Pare non beva liquidi che non siano conosciuti da almeno un millennio e non mangi frutti i cui nomi non siano di derivazione greca o ebraica. Tende a essere un contrarian, a non seguire schemi. Il che gli ha fatto pubblicare, nel 2007, un libro di successo mondiale, The Black Swan («Il cigno nero»), sull’impatto dell’altamente improbabile. Ed è proprio da qui che si deve partire per capire che cosa ci dice oggi.

Il cigno nero è un evento non prevedibile. Come un’improvvisa crisi finanziaria o uno tsunami. Le crisi finanziarie e gli tsunami, come ogni cigno nero, ci fanno però male non perché non siamo capaci di prevederli. Ma perché il pensiero dominante — e dunque le politiche pubbliche come le scelte individuali — è dominato dai fragilisti, cioè da coloro che credono di potere dominare la realtà e i rischi perché hanno studiato a Harvard o perché il partito comunista li ha messi al potere nella Mosca sovietica. Cosa fanno i fragilisti? Vedono le fragilità del mondo e cercano di irrobustire i punti deboli, cercano di prevedere e anticipare, costruiscono muri. Ma quando arriva il non previsto, il non atteso, rimangono esposti senza ombrello. Da questo punto di vista, per dire, pretendere che gli economisti prevedano le crisi o i sismologi ogni terremoto è non solo un’illusione harvardiano-sovietica, è soprattutto un errore grave.
Grave perché il contrario di «fragile» non è «resistente» o «robusto» — sostiene Taleb —. Il contrario di fragile è «antifragile» (sua invenzione), cioè qualcosa che sotto stress si trasforma e accresce la sua capacità di rispondere agli eventi. «Il resiliente resiste agli shock e rimane lo stesso: l’antifragile migliora». Noi umani tendiamo a rispondere alle avversità meglio di quanto non pensino i fragilisti, che ci vogliono proteggere con interventi dello Stato, con reti sociali sempre più ampie, con regole e con divieti. «Siamo largamente più bravi a fare che non a pensare, grazie all’antifragilità — dice l’antiaccademico Taleb —. Preferisco essere stupido e antifragile piuttosto che brillante e fragile, tutta la vita». Darwinismo del XXI secolo, si può dire: come gli animali, anche il corpo sociale si adatta all’ambiente esterno e agli shock. Anzi, sono la volatilità, l’inatteso, gli stress a renderci più capaci di affrontare il mondo: cercare di evitare tutto ciò non è solo inutile, ci indebolisce.
Taleb — che dice di aver scelto un campo di attività nel quale gli arrivano molte critiche che lo rendono via via più antifragile — non risparmia esempi, nel suo libro. Non fa classifiche. Ma, seguendo la sua impostazione, il fragilista che in anni recenti ha fatto i danni maggiori è probabilmente Alan Greenspan, l’uomo che ha guidato la Federal Reserve americana dal 1987 al 2006. Con la presunzione di eliminare i cicli economici, cioè i su e giù della congiuntura e della Borsa, per anni ha pompato denaro sui mercati, per evitare lo scoppio delle bolle che regolarmente si creano. Il risultato è che se ne è gonfiata una gigantesca, che poi è scoppiata comunque, tra il 2007 e il 2008, mettendo in ginocchio l’economia globale. Secondo Taleb, le banche centrali dovrebbero intervenire solo quando una situazione è davvero grave, diversamente dovrebbero lasciare che il corpo finanziario e il mercato sviluppassero, anche a costo di piccole sofferenze, i loro anticorpi e diventassero meno fragili. Detto diversamente, a suo parere lo Stato-tata, che ci cura dalla culla alla tomba, ci fa del male e dovrebbe essere sostituito dallo Stato-chirurgo, che interviene solo nelle emergenze.
Visti in questa chiave, nel mondo ci sono settori economici che sono fragilisti, altri antifragili. L’industria delle aerolinee, per esempio, impara dai propri disastri. Come quella della ristorazione, migliora sulla base degli errori. Le banche, invece, quando vanno male minacciano l’intera comunità: dunque occorre renderle meno sistemiche, meno grandi e meno cariche di debiti, per renderle flessibili e adattabili. Taleb, che dice di non essersi mai indebitato, sceglie anche il «piccolo è bello», l’impresa di dimensioni contenute opposta a quella gigantesca. Sostiene che i vantaggi delle economie di scala di quest’ultima sono di gran lunga offuscati dal fatto che, quando sbaglia, una grande impresa incorre in perdite enormi, mentre quando ha successo i benefici sono di solito modesti. Il contrario avviene in una piccola: se fallisce, il danno è relativo; se ha successo, il vantaggio può essere eccezionale.
In altre parole, la chiave per conquistare il dono dell’antifragilità sta nel tenere bassi i costi potenziali dell’errore e nel puntare a grandi vantaggi nel successo: lavorando su questa asimmetria, si beneficia dell’incertezza, della volatilità, del disordine. Così armato, Taleb affronta il sistema educativo (contro la cultura formale a favore del «trial-and-error»), gli stipendi dei top manager (che al fianco degli incentivi devono avere disincentivi che li facciano pagare per i loro errori gravi), il Welfare State (che deve intervenire solo in casi di necessità vera e non essere condiscendente con chi ne vuole essere dipendente), l’adattabilità dei Paesi (vince la Svizzera) e molto altro.
Unendo con un tratto Catone il Censore, Nietzsche, Socrate, Darwin, Wittgenstein e la propria fobia per il concavo, Taleb elabora in una tabella la Triade della realtà — Fragile-Robusto-Antifragile — e la applica a una cinquantina di attività umane e di stati della vita. Per dire che la risposta alle nostre debolezze non sta nel diventare più resistenti: «Per citare Nietzsche — scrive — a forza di essere immortali si può morire».
Danilo Taino