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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

LO STALKING DEMOCRATICO

Tra le foto che circolano in Rete di Harper Reed — la mente tecnologica della campagna elettorale di Barack Obama — ce n’è una capace di spiegare la vittoria del presidente più delle brillanti analisi politiche. Raffigura il neoeletto mentre abbraccia Reed, occhiali scuri da hipster e ciuffo rosso in evidenza. Un gesto dovuto: è (anche) grazie a questo ingegnere con la passione per il death metal, se Obama governerà gli Stati Uniti per altri quattro anni. Reed, 34 anni, ha pensato, organizzato e diretto la più grande operazione di data-mining (letteralmente estrazione e analisi di dati) della storia. Con un unico scopo: rieleggere Obama. Operazione compiuta grazie a cento statistici, ingegneri, matematici e scienziati — età media: trent’anni — prelevati dalle compagnie all’avanguardia nel settore tecnologico scientifico. Un team di nerd — come l’ha definito Alexis Madrigal sulla rivista «The Atlantic» — senza affezione per la politica, ma con una conoscenza di hardware e software paragonabile a quella dell’intera Silicon Valley.

Ora che il presidente è al sicuro, le informazioni e i dettagli sul progetto Narwahl (nome ispirato al grande cetaceo con l’«unicorno» del Mar Glaciale Artico) sono finalmente disponibili. E Reed, corteggiato da mesi attraverso i canali social e no della Rete, ha voglia di parlare: lo fa al telefono da Chicago, dove si gode il riposo insieme all’amata moglie giapponese Hiromi (viene nominata dieci volte durante una conversazione telefonica di 40 minuti e due volte in quattro mail).
«Per me relax significa lettura — afferma —, una passione che ho dall’infanzia: sarà che sono cresciuto in Colorado, dove non avevo tante alternative, ma quando penso alle vacanze immagino me sdraiato con un libro tra le mani». Il libro del momento è Ventus, il primo romanzo dello scrittore di fantascienza Karl Schroeder: «Un testo incredibile», puntualizza. Sul suo blog (https://harperreed.org), dove Reed si definisce «l’uomo più cool del mondo», sono raccolti i volumi letti negli ultimi dieci anni: titoli di economia, hardboiled, fantascienza, tecnologia. Non sorprendetevi per l’abitudine da «precisino», Reed è un lifelogger: da tre anni misura tutto quello che mangia, percorre, scrive. Ha iniziato quando Hiromi — entusiasta di un articolo che raccontava la storia di un hacker dimagrito pesando in maniera ossessiva se stesso e gli alimenti più volte al giorno — ha consigliato al marito in sovrappeso di provare quel metodo. La pancia non è scomparsa, in compenso la misurazione compulsiva — chilometri percorsi, numero di passi, calorie, tweet — è diventata una pratica quotidiana: «Mia moglie dice che sono matto — spiega —, ma il calcolo mi aiuta ad avere più consapevolezza del mio corpo e delle mie giornate».
Probabilmente solo un lifelogger avrebbe potuto creare software capaci di stanare gli elettori di Obama, uno per uno, individuandone gusti, abitudini, preferenze, domande. In un anno e mezzo la poderosa macchina di microtargeting — divisa in tre settori: tecnologia, digitale (guidata da Joe Rospars) e analisi dei dati (gestita da Dan Wagner) — ha raccolto attraverso siti, social network, tv, telefonate e porta-a-porta informazioni tali da schedare 29 mila votanti solo in Ohio. «Non esistono "i lettori", "gli utenti", "i cittadini" — puntualizza Reed —, ma ogni elettore è diverso dall’altro. Solo con questa consapevolezza si riesce a intercettarlo e magari a convincerlo». Per la campagna di fundraising, di raccolta fondi, ad esempio, sono stati elaborati 11 modelli di mail per ciascuno Stato: ogni mail veniva poi testata su 18 persone diverse. Solo dall’incrocio di questi dati scaturiva il legame tra mail e destinatario.
Se nel 2008 i social media sono stati un veicolo fondamentale per le idee di Obama, nel 2012 diventano — alla faccia della privacy — un bacino indispensabile di informazioni sugli elettori. Nella fase finale della campagna gli utenti Facebook iscritti al sito BarackObama.com hanno ricevuto mail che chiedevano esplicitamente di convincere l’«amico» X (schedato come indeciso) a votare per il presidente. Uno su cinque di questi messaggi è andato a buon fine. Strumenti come Dashboard, una app che mette in comunicazione i volontari in tempo reale; Call Tool, il programma per telefonate gratuite; i Facebook e Twitter blasters, che consentono di mandare miliardi di mail contemporaneamente; e The Optimizer, un software capace di mandare in onda il messaggio promozionale nel momento di massima attenzione del telespettatore, hanno permesso al presidente di catturare i suoi elettori in un’operazione più vicina al cyberstalking che al data-mining. Per riuscirci non bastavano i bravi ragazzi con enormi ambizioni politiche e buone conoscenze del web — come Alec Ross, animatore della campagna social 2008 e oggi consigliere per l’innovazione di Hillary Clinton —, servivano i nerd. Quelli che, finito il lavoro, hanno solo voglia di tornare in garage a inventare un’altra start-up e a disegnare un nuovo software. «Se Obama dovesse chiamarmi alla Casa Bianca, non credo che accetterei», confessa Reed. Possibile? «Una cosa è lavorare per una campagna elettorale, altra lavorare per il governo — spiega placido —. La campagna era una start-up. Dovevamo essere rapidi e correggere nell’immediato tutti gli errori» L’opposto di un impiego politico che deve fare i conti con la lenta burocrazia.

Sembrerà strano, eppure i dubbi Reed li ha avuti persino quando, nella primavera del 2011, gli hanno offerto il ruolo di Chief Technology Officer della campagna elettorale: «Avevo molti progetti in corso — racconta —, accettare significava mettere in standby la mia vita per 18 mesi. In caso di vittoria, avremmo vinto tutto. Ma, in caso contrario, avrei perso tutto». Una posta in gioco troppo alta per chi, non sazio di progetti come Threadless — la community dalle uova d’oro che disegna, produce e vende online t-shirt insieme agli utenti —, nel tempo libero «craccava» la app per il trasporto urbano di Chicago «pubblicando» le informazioni (il motivo reale era rendere più agevoli gli spostamenti di Hiromi), e costruiva piattaforme open data (CityPayments.org) sugli appalti dell’amministrazione cittadina. Ma se il senso civico e la passione per i diritti umani sono nel dna di Reed (la sua band si chiama «Jugglers against omophobia»), il «Palazzo» continua a essere lontano dai suoi interessi: «Mi piacerebbe dire che il mio rapporto con la politica è cambiato dopo la campagna, ma non è così: ho imparato tantissime cose e oggi rispetto di più chi ha scelto quella strada, ma resta un mondo diverso dal mio». Irriverente? Forse, ma basta dare uno sguardo al suo profilo «aperto» di Facebook per capire che dietro la faccia tosta piena di piercing, c’è un’idea di libertà tutta americana. Tra le immancabili foto di Hiromi, ne spunta una in cui l’ingegnere con i tatuaggi appare senza veli nella vasca da bagno. Difficile immaginare un politico europeo a suo agio con una tale immagine pubblica di un collaboratore. «Obama — racconta — non ha mai fatto una battuta sul mio aspetto, che continua a non essere un problema negli ambienti di lavoro che frequento».
Anzi, il look di Reed (curato nei minimi dettagli) finisce con l’accrescere la convinzione che i professionisti dei dati siano davvero le rockstar del nuovo millennio. È successo già con Nate Silver, lo statistico-blogger del «New York Times» che, grazie alle sue analisi predittive, ha anticipato il risultato delle elezioni americane. Il «New Yorker» del 19 novembre ospitava una (finta) lettera d’amore di una bambina diretta a Silver, che recitava: «Non riesco a smettere di pensare ai tuoi sondaggi e ai tuoi modelli di calcolo. Hai sempre ragione e questo è davvero carino». Altro che Twilight, sono gli statistici «i nuovi vampiri sexy». Erik Brynjolfsson, direttore del Centro per il Digital Business del Mit di Boston, ha spiegato: «Sono diventati cool proprio come lo erano i programmatori informatici negli anni Novanta e gli assi della finanza negli anni Ottanta: i fattori che trainano l’economia danno potere alle persone, e le rendono infintamente sexy».
Se da un lato è vero che gli Usa entro il 2018 avranno bisogno di un numero di nuovi professionisti dei dati compreso tra 140 mila e 190 mila (fonte McKinsey Global Institute), dall’altro, sembra la moda del momento: «Non penso che i Big Data siano il futuro di economia, politica, finanza — spiega Reed —. Meritano grande attenzione, ma non possiamo pensare che siano la soluzione di tutti i problemi. L’industria dei dati sta crescendo in maniera esponenziale: le aziende sono a caccia di statistici e di tecnici, ma non basta raccogliere dati, tocca saperli interpretare». Che detto dal più grande cacciatore di Big Data del mondo, fa più effetto che vederlo nudo nella vasca da bagno.
Serena Danna