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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

«SOLO UN ATTO DIMOSTRATIVO, RISPETTERO’ LE MISURE» —

«....e ritenuto pertanto che possa confidarsi nella parola data da Sallusti»: è in questa ulteriore apertura di credito, verso chi pure era entrato in Tribunale come appena evaso dalla detenzione domiciliare per diffamazione e gravato da «recidiva reiterata infraquinquennale», la chiave della decisione con la quale il giudice Carlo Cotta concede nuovamente al direttore de Il Giornale gli arresti domiciliari, stavolta come misura cautelare nel processo «per direttissima» (aggiornato a giovedì) per il reato di evasione.
Porte chiuse e video cancellati
Il procuratore Bruti Liberati dispone che i carabinieri sbarrino i corridoi e tengano lontani i giornalisti, a un fotografo dell’Ansa vengono perfino cancellati video e foto girati con un telefonino, e l’udienza di convalida dell’arresto, come previsto dalla lettera del codice ma come quasi mai rispettato nella logistica quotidiana dei processi «per direttissima» comuni, è a porte chiuse.
Sallusti chiede scusa
Il verbale d’udienza consente tuttavia di "riascoltare" Sallusti pur senza aver potuto essere presenti in aula. «È stata un’azione dimostrativa che avevo annunciato già alla stampa — esordisce il direttore —. Non avevo e non ho alcuna intenzione di sottrarmi alla misura. Avevo intenzione di scontare la pena in carcere. Voglio ringraziare gli agenti di polizia con cui ho avuto a che fare oggi, scusandomi per tutto».
«Valenza culturale»
«Ho voluto essere credibile rispetto ai miei lettori», rimarca il direttore, e «la valenza culturale del mio gesto è solo contro la legge, non contro soggetti». Certo l’impatto con il tribunale è sempre pesante per chiunque; la prospettiva del carcere gli viene spiegata dai difensori, sia perché l’evasione può far scattare la revoca della detenzione domiciliare e determinare il carcere per i 14 mesi di diffamazione, sia perché già l’evasione (con pena minima 1 anno) anche con patteggiamento e attenuanti potrebbe costargli non meno di altri 6/8 mesi: «Credo di aver esaurito con il mio comportamento l’effetto di comunicazione che volevo raggiungere. Mi impegno fin d’ora, in caso di prosecuzione degli arresti domiciliari, a rispettare le prescrizioni scrupolosamente».
«Atto dimostrativo»
Il giudice, con il parere favorevole del pm Piero Basilone, lo prende in parola. Nell’ordinanza scrive che, anche se l’evasione non depone bene, «d’altra parte Sallusti, rendendo dichiarazioni coerenti e attendibili, ha dato assicurazioni, quanto agli intendimenti futuri, in ordine alla sua ferma volontà di rispettare scrupolosamente gli obblighi dei domiciliari». E il giudice ritiene che questo «impegno debba ritenersi credibile e degno di considerazione, alla luce della comprovata natura "dimostrativa" del comportamento tenuto», e che «pertanto possa confidarsi nel rispetto della parola data».
Direttore come prima
Sallusti, dunque, ora è a casa sua con due differenti titoli di limitazione della libertà, seppure molto più mite che per le persone ordinariamente poste nella sua stessa condizione. Potrà uscire di casa dalle 10 alle 12 «per soddisfare le proprie indispensabili esigenze di vita», tra le quali è implicito rientri il poter andare al giornale per dare l’impronta al quotidiano che dirige. E nel resto della giornata potrà man mano seguire il lavoro sia scrivendo ciò che vorrà, sia tenendosi informato e dando direttive con gli strumenti ordinari di comunicazione, visto che l’ordinanza del giudice di sorveglianza non gli vieta l’uso di telefoni, fax, computer, mail, ma solo visite di estranei. Situazione non esattamente identica a quella di chi in carcere non può certo usare telefoni o mail, benché Bruti Liberati lunedì non ravvisasse, in tema di prognosi di ulteriori diffamazioni, «alcuna differenza, quanto a efficacia deterrente, tra detenzione in carcere e nel domicilio».
Due diversi arresti a casa
Per un primo verso, dunque, ora Sallusti è in «esecuzione a domicilio della pena» di 14 mesi di condanna definitiva per aver concorso alla diffamazione di un giudice tutelare torinese falsamente tacciato dallo pseudonimo Dreyfus (su Libero nel 2007) di aver fatto abortire una minorenne poi impazzita: per questa condanna, infatti, lunedì il procuratore Bruti Liberati — in contrasto con l’intero suo Ufficio esecuzione e con la pm titolare alla quale tolse il fascicolo avocandolo a sé — aveva ritenuto di disporre una (mai praticata prima a Milano) doppia sospensione dell’ordine di carcerazione in virtù della «legge svuotacarceri» 199/2010, alla quale il giudice di sorveglianza Guido Brambilla l’altro ieri ha fatto seguire il beneficio per il giornalista di poter scontare la pena a casa.
Per un secondo verso, invece, Sallusti è agli «arresti domiciliari» come misura cautelare impostagli ieri pomeriggio dal Tribunale ordinario in conseguenza della sua evasione ieri mattina appunto dalla «esecuzione a domicilio della pena» per la diffamazione.
La solidarietà di Dreyfus
«Ritenevo e ritengo tuttora il mio silenzio fosse nei desideri di Sallusti, a cui va tutta la mia solidarietà e amicizia», ribadisce intanto Renato Farina, che solo dopo la condanna definitiva dell’ex direttore di Libero ha ammesso in Parlamento di essere lui il Dreyfus autore dell’articolo diffamatorio ai tempi in cui era sospeso dall’Ordine in relazione al favoreggiamento di 007 nel caso Abu Omar. «Non ho mai potuto difendermi — è la sua teoria — per l’assenza di qualunque indagine su chi fosse Dreyfus da parte della Procura. Né io ho mai avuto l’opportunità di denunciarmi e intervenire al processo, non essendo stato informato da alcuno della querela del giudice. L’ho invitato a querelarmi e sin d’ora rinuncio alla prescrizione, anche perché sono certo delle mie buone ragioni, per cui un errore può non essere un delitto».
Luigi Ferrarella