Franco Bechis, Libero 2/12/2012, 2 dicembre 2012
LE VERITÀ NASCOSTE LA DIFFAMAZIONE? UN PRETESTO PER FARGLIELA PAGARE
[La mancata querela alla «Stampa», la non richiesta di rettifica, il caso Taormina: ecco perché volevano colpire solo Sallusti] –
Confesso: non so se avrei avuto lo stesso coraggio di Alessandro Sallusti, che ha messo in gioco la sua libertà per porre una questione di principio e di diritto Costituzionale che tutti fingono di ignorare. Ho tre figli e quel che avrei fatto al posto suo sarebbe dipeso da loro.Ma non comportarsi così avrebbe pesato anche a me, e sarebbe stato difficile guardarli negli occhi dopo.
In queste ore leggo i commenti più disparati sul caso e noto che la maggiore parte nascono dalla assoluta ignoranza dei fatti. È falso che Sallusti sia stato arrestato per avere pubblicato il falso diffamando il giudice Giuseppe Cocilovo della procura dei minori di Torino. Non è così. Sallusti finisce in carcere perchè in carcere si voleva fare finire lui e nessun altro giornalista. Gli si vuole fare pagare le sue opinioni su altro, e il caso Cocilovo è un pretesto, il primo a disposizione. È da questa vicenda giudiziaria però che tutto nasce, e allora sarebbe bene raccontarla nei particolari. Ecco tutto quel che serve sapere per giudicare.
Sallusti ha pubblicato una notizia falsa e diffamatoria sul giudice Cocilovo che avrebbe costretto una ragazzina ad abortire contro la sua stessa volontà? Falso. È stata La Stampa a pubblicarla il 17 febbraio 2007. Il giornale diretto da Sallusti, Libero, l’ha ripresa il giorno successivo in due modi: un articolo di cronaca firmato da Andrea Monticone, in cui si dava conto della versione pubblicata su La Stampa. E poi un commento certo forte (ma si tratta di opinioni) firmato Dreyfus. In nessuno dei due articoli è nominato il giudice Cocilovo. L’articolo di cronaca di Libero è stato riconosciuto corretto dalla Cassazione, che ha annullato le precedenti sentenze di condanna contro Monticone. I fatti dunque pubblicati quel giorno con Sallusti direttore non sono falsi, anzi. La condanna quindi riguarda solo il commento di Dreyfus, quindi delle opinioni.
La Stampa è stata querelata? No. Ha rettificato la notizia? No, il giorno successivo ha pubblicato la versione della procura solo all’interno di un nuovo articolo sul caso, titolato per altro in modo da rafforzare la notizia della ragazzina costretta all’aborto. Tanto che tre giorni dopo, La Stampa ha dovuto pubblicare una ulteriore rettifica inviata formalmente dal presidente del Tribunale dei minori, Mario Barbato. Con grande evidenza? No: nella rubrica delle lettere, confusa fra decine di altre.
2- Sallusti non ha mai rettificato la notizia. Questo fatto in sé è vero. Su Libero non è apparsa alcuna rettifica di una notizia che per altro non Libero aveva dato, ma La Stampa. Il giudice del tribunale dei minori ha inviato una rettifica a La Stampa, ma a Libero no. Quale rettifica doveva essere pubblicata, visto che nessuna rettifica è mai stata inviata da nessuno? L’articolo di cronaca è stato assolto in Cassazione, ritenuto corretto e quindi non bisognoso di rettifica. La procura di Torino aveva sì fatto filtrare una rettifica alla notizia de La Stampa già la sera della pubblicazione, ma solo sulla agenzia Ansa a cui Libero non era abbonato. Quella rettifica - per altro ufficiosa - non poteva essere a conoscenza di Sallusti.
3- Sallusti è stato condannato per non avere vigilato sulle idee di Dreyfus. Trattandosi di pseudonimo, si è detto che la firma è stata attribuita al direttore responsabile, quindi a Sallusti. Non è vero. Dreyfus era Renato Farina, che lo ha dichiarato pubblicamente dopo la condanna. Ma che Dreyfus fosse Farina lo sapevano anche i giudici di Cassazione, visto che gli avvocati di Sallusti lo avevano comprovato nel loro ricorso, quindi tutti sapevano chi aveva scritto quelle opinioni ritenute diffamatorie.
4- Il caso Taormina. Di questo non ha parlato nessuno. Secondo la sentenza della Cassazione e perfino secondo i giudici di secondo grado, la colpa di Sallusti non sarebbe solo quella di non avere rettificato la prima versione dei fatti, ma di avere messo in piedi una campagna stampa contro il magistrato Cocilovo, anche se questo ultimo mai è stato nominato su Libero. La Cassazione scrive che una settimana dopo la pubblicazione di Dreyfus - il 23 marzo - su Libero c’è stato «un prosieguo della campagna di offuscamento dei soggetti, a vario titolo intervenuti nella vicenda, attraverso la riproposizione da parte di un noto avvocato, della assenza del consenso della minorenne». Quel noto avvocato è Carlo Taormina, che in effetti in una sua rubrica settimanale su Libero molti giorni dopo prende per buona la vecchia versione de La Stampa e critica il comportamento di quell’anonimo magistrato. Per la Cassazione proprio l’articolo di Taormina dimostra l’intenzione di Sallusti di compiere una «crociata contro un giudice dello Stato italiano». Questo particolare era ignoto allo stesso Sallusti. Non aveva letto all’epoca la rubrica di Taormina (che mandava alla segreteria di Feltri e veniva pubblicata di rigore), e non sapeva che proprio quella rubrica è il fondamento della sua condanna. Due articoli a due settimane di distanza, allora era una campagna stampa contro il giudice Cocilovo.
Proprio il caso Taormina però dimostra come la decisione su Sallusti sia esclusivamente ad personam, un regolamento di conti e non un caso di giustizia. Quell’articolo è stato fondamentale nella condanna di Sallusti? Sì, lo dice la Cassazione. Taormina è mai stato querelato dai magistrati di Torino? No, mai. Qualcuno ha inviato rettifica per contraddirlo? No, mai. Lui non interessava ai magistrati di Torino. Quella che volevano era la testa di Sallusti. E questa hanno ottenuto nel silenzio complice e interessato di chiunque dovrebbe avere a cuore l’articolo 21 della Costituzione.