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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

ARRESTATO SALLUSTI LE MANETTE IN REDAZIONE MA A TUTTI SEMBRA NORMALE

[Per la prima volta in Italia viene tolta la libertà a un direttore di giornale mentre fa il suo lavoro. A parte le frasette di circostanza, politici e colleghi si voltano dall’altra parte] –
Che giornata schifosa. C’è un giornalista della Rai che dice a un collega: «Pensa se vent’anni fosse successo al Manifesto. Io leggo Repubblica, ma questa cosa è incredibile. Sono entrati nella redazione di un giornale nazionale e hanno arrestato il direttore: ma il Tg3 nazionale ha detto che non vuole neanche le immagini». Tranquillo, in serata le chiederanno. Il problema non è il Tg3: è un’intera corporazione a non volere le immagini, anzi quell’immagine, a rimuoverla, a fingere che l’arresto di un direttore nell’esercizio delle sue funzioni - per un articolo che non ha neppure scritto lui – non sia poi in fondo questa notizia, soprattutto non li riguardi più di tanto. I direttori dei giornaloni o dei giornalini, che pure hanno sul gobbo decine o centinaia di «omessi controlli» esattamente come Sallusti, non ci sono. Non hanno detto niente di serio. Qualcuno ha pensato di cavarsela con mezza frasetta su Twitter e poi si è rituffato nei regolamenti del ballottaggio. L’Ordine dei Giornalisti e la Federazione della stampa, in pratica, non ci sono neanche loro; solo alle 18 e 40, assieme alla pioggia milanese, arriva uno stitico comunicato di Franco Siddi (Fnsi) che esprime «molto rammarico» e dice che serve «moderazione, buon senso, grande saggezza». E noi che pensavamo servissero estremismo, cattivo senso e stupidaggine. Poi però aggiunge: «Il caso Sallusti mette in evidenza la necessità di una riforma della legge sui reati amezzo stampa». Ed è decisivo, perché noi pensavamo che invece andasse bene questa legge che può sbattere in galera un giornalista (o non farlo, a discrezione) solo perché a dei magistrati sono girate le palle. Solo perché è Sallusti: solo perché d’un tratto, per una delle tante querele che non sfociano mai nel carcere, un magistrato querelante d’improvviso l’ha chiesto, i pm di primo grado e d’Appello l’hanno chiesto, i giudici di conseguenza l’hanno disposto, e il querelante - che ha pure beccato 30 mila euro di risarcimento - la querela non ha voluto ritirarla. Per fortuna, sempre in serata, arriva una devastante presa di posizione del presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino: «Sallusti con la sua scelta continua a sottolineare l’esistenza di un problema reale che riguarda migliaia di giornalisti che non hanno la sua notorietà». Vero. Stravero, anche se l’hanno capito in pochi. Peccato che Iacopino l’abbia scritto solo su Facebook. Anche le frasette di Ferruccio De Bortoli (Corriere) e Roberto Napoletano (Sole 24 Ore) sanno di pratica d’ufficio, di seghetta da Twitter, del resto sono quasi identiche. Scrive De Bortoli: «L’arresto di Sallusti è una brutta pagina della storia del nostro Paese, la mia solidarietà al direttore del Giornale». Scrive Napoletano: «Davvero una brutta pagina per il Paese. Piena solidarietà a Sallusti». Oh, grazie tante. Autoassolti e poi via, a contare i peli del culo a Renzi e Bersani. E gli altri direttori? Zitti.
Che giornata schifosa: le telecamere ammucchiate nel corridoio del Giornale, il complicato contegno di Sallusti, la Digos incravattata che «arriva, arriva» e pretenderebbe anche discrezione - poveri ragazzi - salvo apprendere che «questo è un giornale », come Sallusti dice loro in piena riunione di redazione. Sallusti che aggiunge tutto quel che serve: «Forse la mia categoria merita questo. Oggi non sono entrati al Giornale, sono entrati nei giornali». Ma la sproporzione tra un articolo di giornale e la privazione della libertà personale, nella sostanza, è solo un’esercitazione dialettica, un’autoassoluzione da condire coi vari «se» e i vari «ma».È un passatempo telematico, una chiacchiera per quei poveretti che brancolano per tutto il giorno tra Giornale-questura-tribunale procura e non comprendono che quel che succede sta succedendo anche a loro. Non sono indifferenti: non sono niente, sono ignavi, sono la faccia presentabile e imperturbabile dei centinaia di messaggi forcaioli che sui vari social network, intanto, fanno capire una cosa sola: che il bipolarismo muscolare ci ha fottuto tutti, che a una classe politica di merda – neanche ne parliamo più - corrisponde giust’appunto una corporazione giornalistica di merda. Andatevi a leggere il blog di Liana Milella su Repubblica, se volete capire. Andate sul Fatto, quello che ogni tre secondi rompe i coglioni sulla libertà d’informazione. Andate dove volete, è un Paese libero, ma se non capite che lo è un po’ meno, da ieri, il problema diventa vostro.