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 2012  dicembre 01 Sabato calendario

RAI, DOVE PAGANO SOLO I DEBOLI

[Giampiero Amandola licenziato in tronco per il servizio su juve-napoli punizione fin troppo esemplare in un’azienda che di esemplare ha poco] –
Morte al razzista. Alla mela marcia. Al rivoltante apostata. All’intruso nel paradiso Rai abitato da ben 51 vicedirettori e da un imprecisato numero di vergini. Tutte indignate con il cronista che sognava di essere Beppe Viola, si sarebbe accontentato di somigliare a Franco Zuccalà e invece è stato solo Amandola Giampiero, brasato astigiano di 56 anni, inviato a cucinare domenicalmente il nulla e finito a fette nel calderone della demagogia. Licenziato in tronco alla vigilia di Natale senza panettoni di consolazione. In tempi mai così rapidi per nessun altro. Una freddura infelice. Una battuta sbagliata. La leggerezza priva di categorie. La pubblica riprovazione animata da opinionisti e deputati. La sospensione. Il calcio in culo. In Viale Mazzini è buona regola piallare i deboli e strisciare ai piedi dei più forti.
IL 20 OTTOBRE, “Amandola vaso di coccio” deve raccontare “gli umori” dei tifosi. C’è Juve-Napoli. Clima sereno. L’ouverture è il primo piano di un bambino. Intona l’inno di casa. Poi sciarpe, tifosi, coretti, scaramanzie, facezie bipartisan. Il pane di 90° minuto. Il colore che non stinge. “Gliene facciamo tre”, “La Juve sa solo rubare, è la vergogna d’Italia”, “Agnelli ha sbagliato tutto”. Poi due decerebrati impegnati in un’invocazione standard al Vesuvio. Lo stacco coglie Amandola di profilo. L’aria del passante distratto. L’occhiale da sole. Il microfono in mano. Lo porge a un ragazzo con la maglietta bianca e nera. L’intervistato non è nato a Stoccolma e con stretto accento meridionale, senza particolare acrimonia, evade sul terreno antropologico: “I napoletani sono ovunque, se parliamo di loro non possiamo considerare nord, centro, sud, è un po’ come per i cinesi”. Amandola ingrana la marcia del sarcasmo e cade nel burrone: “E voi li distinguete dalla puzza, con grande signorilità” ricevendo sorriso e sponda: “Molto elegantemente, certo”. Il tutto è sgraziato, sinistro, ma privo di intenzione. Preceduto da un linguaggio aulico in cui gli ultrà vengono trattati come dame degli anni 20: “Dunque, anche nei vostri cuori alberga la passione?”. Seguito da banalità di belle torinesi di origini campane in un contesto il cui il miele rincorre lo zucchero. Accade così che Amandola corra a montare, nessuno controlli il contenuto della sua passeggiata e in luogo del “direttore responsabile” e nel silenzio dei colleghi, per “il vergognoso e inqualificabile servizio”, paghi in un sol colpo le rate di una vita.
ACCADE che per 10 secondi di equivoco, l’amico di Jas Gawronsky, già affascinato da Berlusconi, il giornalista dell’inessenziale diretto, “quietamente”, come amava dire, verso la pensione, venga emarginato. Simbolo del male. Incarnazione della demenza. Perdonati i Minzolini, dritti in piedi a brulicare nei corridoi Rai i “sempre in gamba” e alla porta Giampiero Amandola. Che non conta un cazzo. Che non può difendersi. Che “impugnerà” (sic) la sentenza navigando con la sua barchetta di carta contro l’ammiraglia del duo Tarantola-Gubitosi, lesti nel tacere sulla quotidiana lottizzazione dell’azienda e altrettanto rapidi nell’esprimere “sdegno” e lanciare l’anatema chiedendo punizioni esemplari.
VERGANDO, il secondo, una pelosa, ridicola postilla di scuse diretta al sindaco di Napoli, De Magistris, alla guida di una città che davanti al pregiudizio non solo pallonaro ha contrapposto l’ironica pernacchia del principe De Curtis e l’allegria da lazzo restituito con gli interessi: “Giulietta è una zoccola”. In mora, colpito da Saviano e dalla seriosa lettera aperta del democrat Sarubbi, dalla rabbia del web e dalle carezze di Gramellini, nei debiti dei sensi di colpa di un Paese intero, affonda Amandola. Sacrificato sull’altare di polemiche che avrebbero meritato diversa indulgenza. Fuori dal tubo assieme ai dannati colpevoli di ricordare la cultura popolare, i “magnagati” come Beppe Bigazzi impegnato a rimirare “le belle carnine bianche” dei felini in Valdarno (2 anni di esilio), agli innocenti come Niccolò Carosio, eliminato dalla storia della tv patria per un “negraccio” mai urlato a un guardalinee etiope a Mexico ’70. A Beppe Grillo avviluppato sui socialisti, Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi, fino alle divinità porcine di Leopoldo Mastelloni e alle vette postideologiche di Aldo Busi, lontano 9 mesi per intemperanze caraibiche e poi richiamato in escursione libertaria da Paragone. Alla scorsa sagra del borlotto, in diretta nazionale, Amandola aveva intrattenuto da par suo: “Mentre il carnevale è fermo alle burlette qui esplodono i borlotti: la più grande fagiolata d’Italia, 1600 calderoni e 20000 stomaci pronti a gonfiarsi di fagioli con le inevitabili, rumorose, dispersioni nell’aria”. Dante (“ed elli avea del cul fatto trombetta”) è lontano. Amandola all’inferno.