Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 1/12/2012, 1 dicembre 2012
DA CLINI LA QUARTA POSSIBILITÀ AI RIVA
Adesso sappiamo che, per il governo Monti, un’acciaieria può funzionare bene senza inquinare e senza ammazzare chi vive nei dintorni. Quella che fino a pochi giorni fa veniva classificata come utopia per anime belle (vi ricordate la spietata concorrenza low cost dei cinesi?) adesso è entrata nel programma del governo.
La svolta è stata vista in diretta tv da tre milioni e mezzo di spettatori. Giovedì sera il ministro dell’Ambiente Corrado Clini si è presentato a sorpresa nello studio tv di La7, da cui andava in onda Servizio Pubblico, ed è entrato in scena per rispondere alle serrate critiche provenienti da tutti i partecipanti alla discussione sul caso Ilva.
VERSO MEZZANOTTE , incalzato dal leader della Fiom Maurizio Landini (“Com’è affidabile un’azienda che solo a marzo portava 8 mila lavoratori a protestare sotto la Procura?”), Clini ha detto una cosa del tutto nuova: “L’Ilva può continuare a produrre solo facendo gli investimenti di risanamento prescritti dall’autorizzazione integrata ambientale . O li fai o chiudi. Se l’azienda non fa questi interventi stiamo lavorando su un meccanismo che consenta la continuità produttiva senza i Riva”. Gongola il conduttore, Michele Santoro: “Questa è una notizia!”. E in quel momento “Servizio pubblico” tocca il picco di ascolti, oltre il 19% di share, a coronamento di una serata record, 12,3% di share medio, con 8,6 milioni di contatti.
Ieri in Consiglio dei ministri la conferma. “È la prima volta dopo tanti anni che una legge fa riferimento all’articolo 43 della Costituzione”, rivendica Clini. È uno di quei pezzi dimenticati della Carta del 1948: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese...”.
Sulla famiglia Riva incombe dunque lo spettro dell’esproprio. In questi mesi tesissimi, a partire dal 25 luglio scorso, quando fu arrestato Emilio Riva, l’86enne patron dell’Ilva, e furono sequestrati dalla magistratura gli impianti dell’area a caldo dell’acciaieria, molte cose sono cambiate. Basti pensare che a Ferragosto Clini parlava di un ricorso alla Corte Costituzionale contro i giudici di Taranto, accusati di aver espropriato al governo la politica industriale. Clini ha capito che non è più politicamente sostenibile far prevalere le ragioni del posto di lavoro su quelle della salute. Ma soprattutto, fa sapere Clini, il vecchio Riva si è arreso. Dopo 17 anni di strenua resistenza, durante i quali nemmeno due condanne passate in giudicato per inquinamento hanno piegato la sua ferma volontà di risparmiare sull’ambiente, ha capito che a questo punto non ha più vie d’uscita: o l’Ilva investe sulla pulizia dei processi industriali o chiude.
IL GOVERNO ha inventato una sorta di quarto grado di giudizio. I magistrati di Taranto infatti si sono decisi a ordinare il sequestro dell’area a caldo e a fermare la produzione durante il terzo procedimento per inquinamento a carico della famiglia Riva e dei suoi manager . Clini ha deciso di dare una quarta possibilità all’Ilva, stabilendo però che stavolta se Riva fa nuovamente il furbo scatterà la mannaia del commissaria-mento ed eventualmente della nazionalizzazione. Vedremo.
Anche perché adesso si apre la fase più difficile della scommessa di Clini. Gli interventi scritti nell’Aia, che il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante si è impegnato a fare, costeranno almeno 3 miliardi in due anni. Chi paga? L’Ilva, dicono tutti. Che però soldi non ne ha, e dovrà chiederli alle banche, dando in garanzia gli impianti stessi e impegnando gli utili dei prossimi anni per pagare debito e interessi. Con un calcolo a spanne, l’onere potrebbe essere di 5-600 milioni all’anno per i prossimi dieci anni, una cifra cioè pari ai profitti degli anni buoni, in un mercato come quello dell’acciaio caratterizzato da una forte ciclicità.
A occhio e croce l’Ilva potrebbe non farcela, stando al suo abituale piangere miseria. Ma qualcosa è cambiato. Clini ha ricevuto assicurazioni da Ferrante: “Un peso di 600 milioni all’anno? Lo reggiamo. Si può fare”. Anche questa è una notizia: si poteva fare.