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 2012  dicembre 03 Lunedì calendario

CARO INDRO TI SCRIVO (DUE LETTERE DI FELLINI)

Nel lungo lavoro d’archivio per assemblare l’epistolario di Indro Montanelli (Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita, Rizzoli), mi sono limitato a un’ampia scelta di lettere spedite dal grande giornalista a familiari, amici e nomi di primo piano della politica e della cultura italiana, da Andreotti a Cossiga, a Nenni e Pertini, da Buzzati a Prezzolini, a Longanesi e Guareschi. Fra le migliaia di lettere ricevute da Montanelli nel corso della sua carriera e non incluse nel volume, ce ne sono due inedite firmate da Federico Fellini. Il regista di Otto e mezzo ebbe con Montanelli un rapporto di amicizia e di cordialità. Nella missiva del gennaio 1960 Fellini ringrazia Montanelli per aver difeso il film La Dolce Vita, riuscendo forse ad ammorbidire le posizioni della censura sul film, che erano state subito molto critiche. Nella lettera del novembre 1963, Fellini si lamenta con il giornalista di un articolo che lo riguarda. L’ha firmato Oriana Fallaci sull’«Europeo» e agli occhi del regista è tutt’altro che lusinghiero. Ma Montanelli l’aveva a sua volta citato in un suo pezzo. Fallaci fu tutt’altro che tenera con Fellini, lo pungolava, lo provocava con domande sibilline, accusandolo di narcisismo e di fare film tristi. Di Otto e mezzo, Oriana scrive: «Che film triste. Tutti quei vecchi, tutti quei preti, quell’aria di disfacimento e di morte. Sono morti anche i vivi, in quel film». Montanelli citò alcune frasi dell’articolo, innervosendo l’amico. Nel novembre 1993, in prima pagina sul Giornale lo avrebbe salutato così: «Era il più grande bugiardo che mi sia capitato d’incontrare. Mentiva come io e voi respiriamo, e senz’altro scopo che il piacere dell’invenzione. A sentirlo, non leggeva e non sapeva nulla; ed invece aveva letto e sapeva tutto e di tutto: letteratura, arte, musica. Ma a citargli il nome di un autore o il titolo di un libro, fingeva di non averli mai uditi, e per revocare un appuntamento era capace di inventarsi un’appendicite».
Paolo Di Paolo

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Roma, 23 gennaio 1960
Caro Indro,
scusami se ti scrivo a macchina ma ho una calligrafia illeggibile. Oggi ho letto il tuo articolo sul “Corriere”: raramente ho provato nella mia vita un sentimento tanto commosso ed intenso di gratitudine.
Mio caro amico che soddisfazione profonda sentirmi compreso in modo lucido e appassionato, ah Indro mi hai fatto venire le lacrime agli occhi di gioia di piacere di presunzione di vergogna, mi sono gonfiato come un tacchino e t’avrei abbracciato con l’impeto di un figlio. Lo sai? Dodici ore dopo che il tuo articolo era uscito sul “Corriere” la censura dava via libera al film senza tagliare un fotogramma. Sono convinto che questo crollo improvviso dopo quindici giorni di silenzio, di risposte evasive ed ipocrite (pensa che fino a ieri mattina sostenevano di non poter dare nessun verdetto perché non lo avevano ancora visionato) lo debbo in gran parte a te.
Grazie con tutto il mio cuore caro Indro
Federico

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Roma, 29 novembre 1963
Caro Indro,
ancora due righe e poi piantiamola lì. Può darsi che io sia «impassibile agli elogi ed allergico alle critiche», ma come fai a chiamare critiche quelle sgraziate e canagliesche invenzioni della Fallaci, dove il tentativo di ritrarre qualcosa o qualcuno è scartato in partenza e dove salta fuori soltanto il narcisistico e sconfortante ritratto d’un’isterica furbetta che sì, può farti anche pena, ma che spesso ti dà solo fastidio? Ciò che ha scritto è tutto falso, e ciò che mi è dispiaciuto è che tu abbia citato nel tuo pezzo la sua intervista con me, proponendola come una fulminante ed esattissima spettroscopia del sottoscritto.
Indro caro, ma che vuoi farci, mi è venuto spontaneo di reagire così, e posso dirti che è la prima volta che mi succede perché la pigrizia, la comoda tendenza a dimenticare le cose spiacevoli e probabilmente un po’ di presunzione, mi hanno sempre fermato la mano a mezz’aria, prima ancora di infilare il foglio nella macchina da scrivere. Malevoli scherzetti come quello che hai letto, la Fallaci ne ha sempre fatti con me, ma chi le ha mai regalato la soddisfazione di mostrarsi risentito? Con te invece mi sono sentito mortificato, triste, e ti ho scritto subito. Poi, dopo averla spedita, volevo telefonarti, volevo dirti: guarda, Indro, che ti ho scritto un biglietto, può darsi sia troppo risentito, esagero, lo riconosco, sono emotivo, specialmente alla fine quando ti dico che ti credevo più intelligente. Non dar retta, non penso mica così, sai?, mi è venuto di chiudere la lettera in questo modo, mi pareva d’effetto…
E stamattina è venuta la tua lettera che mi ha fatto un gran piacere; e non c’è più niente da dire, perché ho avuto la conferma che quegli occhi chiari spiritati ed ansiosi che mi ti hanno fatto subito simpatico la prima volta che ci siamo stretti la mano, erano proprio gli occhi di un amico.
Ti abbraccio. Buon lavoro.
Federico