Mario Ajello, Il Messaggero3/12/2012, 3 dicembre 2012
IL RIFORMISTA POP CHE SI DICE MODERATAMENTE BERSANIANO
Candidato ad essere il primo presidente del Consiglio della Terza Repubblica. Ma chi mai avrebbe immaginato che fosse proprio uno che viene dal lontano, cioè da Pci, a tentare questa impresa? Il che significherebbe che Pier Luigi Bersani a palazzo Chigi sarebbe l’unico ex comunista al potere nell’Unione Europea nel XXI secolo, nel bel mezzo di un’ondata terribile di anti-politica. Un paradosso, e però neanche tanto.
Non solo perché già D’Alema è stato premier, anche se nel secolo scorso e non in seguito a elezioni ma per effetto del collasso del governo Prodi, ma pure perché la vocazione governista di Bersani è scritta nel suo dna e nella sua biografia. Come del reato dimostra la citazione che il segretario del Pd ha voluto fare nel primo faccia a faccia televisivo per queste primarie, quello su Sky, a proposito di Papa Giovanni che sapeva «riformare rassicurando». La sua concezione del governo - e «l’ho sempre dimostrato in tutti i ruoli pubblici che ho ricoperto, anche da ministro» - è appunto questa. E non da oggi ma da sempre, o almeno da dopo aver scritto la tesi di laurea sul riformismo di San Gregorio Magno, il comunista Bersani diventato ex si è raccontato così: «Avrei voluto essere Giovanni XXIII. Perchè Papa Roncalli fu un vero riformista. Lui sapeva coniugare la radicalità delle scelte, i gesti visibili, concreti, di rottura, con la capacità di comunicarli rassicurando gli interlocutori, cattolici e non».
Uno così, classe ’51, usato sicuro, a palazzo Chigi, ammesso che dopo le primarie vinca le secondarie? Gran lavoratore, ma poco propenso a fare squadra, dicono i compagni di un partito che egli però ha debalcanizzato; più volte ministro sia con Prodi sia con D’Alema, e da titolare dello Sviluppo economico dopo il lavoro andava ogni tanto a cantare qualche romanza nei locali intorno a via Veneto mentre da ragazzo avrebbe voluto studiare il pianoforte «ma c’era il ’68 e poi però la rivoluzione non s’è fatta e il piano non ho imparato a suonarlo»; avversario di Grillo prima ancora, molto prima, che Grillo fosse in politica e infatti pochi ricordano questo significativo scambio di battute che adesso suona profetico. Grillo definì Bersani in un’intervista a Left «un violentatore semantico», una delle persone «più subdole che abbia mai incontrato». Il futuro leader del Pd replicò: «Non mi metterò certo a querelare Grillo, trattandosi di lui brucia più la delusione che l’offesa». Ecco, Bersani è la quintessenza della sdrammatizzazione. Anche se non si nasconde i rischi che corre. «Abbiamo tanti nemici», ha detto alla vigilia del ballottaggio: «Molti si augurano che non vinciamo le elezioni politiche e faranno di tutto per non farci governare. Quindi, dobbiamo concentrarci nel fronteggiare, sul terreno dei fatti e della credibilità della nostra azione, questi avversari esterni, evitando tra di noi il fuoco amico. L’esperienza dell’Unione nel 2006-2008 appartiene a un’altra epoca. Adesso c’è il Pd e c’è un alleato come Vendola che ha una vocazione di governo, come sta dimostrando in Puglia».
Ciò riassume più o meno il format di Bersani in questa fase da primarie e da inizio post-primarie. In queste settimane il leader del Pd non ha fatto grandi scelte. La sua campagna è stata priva di colpi di scena e fondata esclusivamente sulla sua immagine tranquilla e tranquillizzante. Ha cercato di presentarsi sia come leader di partito sia come candidato premier. Ma soprattutto, sul mix di competenza riformista e approccio nazional-popolare («Ehi, ragassi, lo strutto dietetico non esiste mica») si fonda sempre il bersanismo, come Crozza ha saputo svelare meglio di tutti.
Mediazione, concertazione, questione sociale, lavoro, lavoro, lavoro: questo sarà Bersani se andrà al governo, e questo Bersani è sempre stato. L’altro giorno è stato applaudito dai 1.800 lavoratori senza stipendio dell’ospedale Idi di Roma, e fare il battimani a un politico in tempi di anti-politica e di crisi economica non è gesto abituale, e andando via da lì Bersani ha fatto alcune telefonate al prefetto e al commissario regionale della sanità per tentare di risolvere la vertenza. «Questo è il mio metodo di governo. Parlare con tutti», ha spiegato a chi assisteva a queste telefonate. Basterà? «Io mi fido di me, perchè sono moderatamente bersaniano», promette l’ex chierichetto che ieri ha superato la prima prova per diventare forse premier.