Antonio Puri Purini, Corriere della Sera 3/12/2012, 3 dicembre 2012
A un anno dal suo insediamento, Mario Monti ha restituito all’azione internazionale dell’Italia una coerenza che si era liquefatta nell’ultimo decennio in un carosello di dilettantismi e improvvisazioni
A un anno dal suo insediamento, Mario Monti ha restituito all’azione internazionale dell’Italia una coerenza che si era liquefatta nell’ultimo decennio in un carosello di dilettantismi e improvvisazioni. L’appoggio dell’Italia alla risoluzione che riconosce alla Palestina lo status di osservatore come Stato non membro delle Nazioni Unite è l’ultimo anello di un processo iniziato un anno fa: ripercorriamone le tappe. Innanzitutto c’è stato un recupero di credibilità in Europa che Monti ha incentrato su diversi obiettivi: l’avvio del processo riformistico, il completamento del mercato unico, la partecipazione attiva al superamento della crisi finanziaria, il patto per la crescita, il rilancio del legame con Francia e Germania, speculare all’attenzione per gli altri Paesi dell’Unione dalla Spagna alla Finlandia, il rispetto degli impegni presi, l’accettazione della condivisione di sovranità. Al secondo posto si colloca la ripresa del rapporto con gli Stati Uniti. Il nostro Paese ama la memoria corta. A nessuno passa per la mente che un capo di Governo capace d’intrattenere un dialogo a tutto campo con il presidente americano, dall’economia alla finanza alla Siria e all’Afghanistan, costituisce un inedito nella storia delle relazioni Italia-Usa. Pur non essendo questione di politica estera, non va sottovalutato l’impatto positivo sull’opinione pubblica internazionale della rinuncia alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020. Monti si è ritrovato contro l’universo mondo ma non ha esitato. E ignorava ancora la voragine rappresentata dalla voracità della classe dirigente romana e laziale. In quarto luogo, il presidente del Consiglio ha ripreso a viaggiare per il mondo dopo un’assenza di anni (con esclusione della pittoresca visita dell’allora capo del governo Silvio Berlusconi a Panama): è andato in Asia, in Medio Oriente, nel Golfo. Si arriva così al cambio di passo della politica estera sul Medio Oriente su cui hanno già scritto Franco Venturini e Maurizio Caprara. Monti ha capito che non si trattava più di creare un problematico consenso europeo sull’astensione ma di riproporre, prima che diventasse tardi, l’urgenza della soluzione di due Stati, Israele e Palestina, come via maestra della pace e non indebolire ancora l’Autorità nazionale palestinese rispetto all’estremismo di Hamas. D’intesa con il presidente Giorgio Napolitano, non ha esitato nel prendere una decisione che aumenta le responsabilità dell’Italia, ne rafforza l’autorevolezza presso Mahmoud Abbas, non incide sull’amicizia verso Israele (càpita che anche i veri amici dissentano fra loro). Ce n’è abbastanza per un sospiro di sollievo. Il problema è mantenere il credito conquistato. La politica estera dovrebbe essere un bene condiviso. La capacità di un Paese di proiettare dignità e affidabilità costituisce un enorme vantaggio: per l’imprenditore, il ricercatore, il lavoratore, lo studente. È sconfortante che, a differenza di altri Paesi europei, i partiti abbiano, troppo spesso, posizioni superficiali al loro interno e contrapposte rispetto agli altri. Fan sorridere le reazioni del Pdl («voto irresponsabile, isolamento e tradimento d’Israele, gravissimo vulnus»). Ma andiamo! Sono parole insensate e non commenti meditati in un partito che, sulla politica estera, ha poco da dire: in Parlamento i suoi esponenti hanno preso per buono il tentativo di accreditare la signorina Ruby come nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. Il dibattito televisivo Bersani-Renzi è stato deludente: il primo ha banalizzato il ritiro che inizierà nel 2013 delle truppe italiane dall’Afghanistan: non è stata «un’avventura», ma una storica impresa in cui hanno perso la vita oltre 50 militari italiani. Poi ha prospettato la rinuncia all’acquisto del cacciabombardiere F35. La sicurezza di un Paese è una faccenda delicata da evitare in pubblico. Il secondo ha detto che, per risolvere il conflitto Israele-Palestina, va affrontato prima il problema Iran. È vero il contrario. Colpiscono infine i semplicistici riferimenti di entrambi all’Europa. Se questo dev’essere l’esordio, non c’è da stare allegri. Figuriamoci cosa dovremo ancora sentire. È solo da sperare che la politica estera rimanga fuori dalla campagna elettorale ormai iniziata. Monti ha dimostrato che la politica estera significa responsabilità, misura, giudizio, autonomia. Gli italiani hanno buoni motivi per essere grati a un tecnocrate che, a differenza di tanti politici di professione, dimostra di avere un senso profondo degli interessi nazionali. Questo significa avere statura da statista.