Francesco Spini, La Stampa 3/12/2012, 3 dicembre 2012
Un anno fa di questi tempi, nelle stanze di Palazzo Marino, sede del comune di Milano, era considerato l’uomo della salvezza
Un anno fa di questi tempi, nelle stanze di Palazzo Marino, sede del comune di Milano, era considerato l’uomo della salvezza. Coi suoi 385 milioni più un euro versati per il 29,75% della Sea - con grancassa di polemiche e un’inchiesta della magistratura tuttora aperta - Vito Gamberale aveva evitato l’onta alla Giunta Pisapia, che aveva potuto così rispettare pienamente, e sul filo di lana, il patto di stabilità. Dodici mesi più tardi, l’ingegnere molisano in quelle stesse sale è divenuto fumo negli occhi. Di mezzo sempre Sea, la sua quotazione saltata, che non aveva mai convinto gli uomini di F2i, il fondo di Gamberale. Questione di valutazioni, anzitutto: quando entrò il fondo, il gestore di Linate e Malpensa fu valutato 1,3 miliardi, per la quotazione in Borsa il 30% in meno. Si rischiava una minusvalenza da oltre 100 milioni, troppo per un fondo che ricerca ritorni dagli investimenti tra il 12 e il 15% e che deve render conto ad azionisti esigenti come diverse casse previdenziali. Però nelle intenzioni di questo ex manager di Stato - classe 1944, nato all’Imi e alla Gepi, cresciuto in Eni, quindi alla Sip, dove tiene a battesimo i primi cellulari Tim - la Borsa è un obiettivo dichiarato. Non per la Sea, per il suo fondo, F2i. Il tempo - ci vorranno forse anni - di trasformarlo in una holding, e comunque non prima che il quadro degli investimenti sia più definito. L’idea di creare il fondo era stata ripescata quando Gamberale, nel 2006, se ne era andato da Atlantia in polemica coi Benetton e contrario alla fusione con spagnoli di Abertis. Si trattava di mettere in piedi un soggetto per riunire le principali reti infrastrutturali strategiche del Paese, tentando di preservarne i gioielli. Gamberale detesta sentir definire la sua creatura una nuova Iri o una Iri 2.0 per via della presenza della Cdp, che ha l’8%. Questo nonostante l’orgoglio con cui rivendica l’esperienza nel pubblico e il suo maestro riconosciuto sia Ernesto Pascale, storico manager della Stet e della Sip scomparso nel 2005. Fatto sta che in cinque anni, con F2i Gamberale è divenuto il «signore delle Reti». In un capitalismo rimasto senza capitali, lui che si è presentato con un primo fondo da 1,8 miliardi e ora rilancia con un secondo appena partito da 575 milioni (ma che punta a raccogliere in tutto 1,2 miliardi) è divenuto il convitato naturale di ogni dossier che riguardi reti e infrastrutture. Per mesi le acquisizioni a cavallo tra gas e telecomunicazioni si sono susseguite. Enel Rete Gas, E.On Rete, G6. Nel mentre la banda larga, con l’acquisizione del 100% della milanese Metroweb, a cui è di recente seguita Sasternet, la rete in fibra di Iren a Genova. Se l’obiettivo di cablare in fibra 30 città d’Italia in tre anni, il sogno resta quello di creare un campione nazionale con la rete di Telecom Italia, del cui scorporo da anni Gamberale è strenuo sostenitore. Gli obiettivi sono diversi: dalle autostrade all’energia fino alla gestione dei rifiuti: è di quest i giorni l’aggiudicazione di un termovalorizzatore dal Comune di Torino. L’attualità è tutta per gli aeroporti. Ha iniziato con Capodichino, di cui ha il 100%, poi lo sguardo è finito su Sea ma non solo. A Torino ha messo le mani sulla Sagat, a Cagliari ha presentato un’offerta alla Camera di Commercio, che ha chiesto una nuova perizia. Nel frattempo l’operazione Sea, il fallimento dell’Ipo, le inchieste:oggi arriverà l’esposto del gestore aeroportuale in Consob che potrebbe chiamare di nuovo in causa la magistratura. E se l’anno scorso era il comune di Milano a lanciare Sos, oggi tocca alla Provincia guidata dal Pdl Guido Podestà. Nelle prossime ore la finanziaria Asam lancerà il bando per vendere entro fine anno il 14,6% di Sea. Se F2i dovesse approfittarne si ritroverebbe col 44,3% di Sea senza bisogno di un’Opa e carico di polemiche. Dal fondo negano. Venti giorni e si capirà a chi finirà quella quota.