Laura Laurenzi, la Repubblica 2/12/2012, 2 dicembre 2012
ROMA Jeans sartoriali, camicia a righine, cravatta, occhiali tondi pressoché invisibili, sferici, Armando Trovajoli — novantacinque anni compiuti a settembre — come ogni giorno è seduto al suo pianoforte a coda
ROMA Jeans sartoriali, camicia a righine, cravatta, occhiali tondi pressoché invisibili, sferici, Armando Trovajoli — novantacinque anni compiuti a settembre — come ogni giorno è seduto al suo pianoforte a coda. Villa immersa nel verde, silenzio, lusso non esibito. La fida Agnese entra con il vassoio dei caffè. Nello studio un’infinità di cimeli, locandine dei musical, manifesti, fotografie con dedica, ma anche modellini di barche a vela, la sua unica, grande passione dopo la musica. Gli è accanto la moglie Maria Paola, bionda ed elegante, conosciuta quarantuno anni fa a Portofino proprio mentre lui stava comprando una barca a vela. È stata lei, concordano gli amici, a donargli una seconda, o forse una terza, giovinezza. «Un compleanno tondo, certo. Ma non abbiamo fatto nessun festeggiamento particolare. Eravamo — mia moglie, nostro figlio Giorgio ed io — da Renato Zero nella sua villa a Cala Piccola, all’Argentario. Poche persone». Armando Trovajoli minimizza, sempre: «Sono un uomo di poche parole e poca cultura. Spero che lei non mi faccia troppe domande. Lavoro. È così che inganno i miei giorni a novantacinque anni, nascondendomi alla morte. La morte, un nome grosso, diciamo nascondendomi all’ineluttabilità dei miei anni. Ogni giorno che passa è un punto a favore. Per ingannare il tempo che vola io scrivo musica. Ho rivangato e sto portando a termine un vecchio progetto: trasformare il film che Gigi Magni trasse dalla Tosca nel ’73, con la mia colonna sonora, in un musical per il teatro. L’ho arricchita con molte parti nuove, nuove scene, nuovi pezzi, coreografie e cose varie. Ora sono al punto di iniziare la strumentazione, la partitura. Ci lavoro da molti mesi, ed è stato impegnativo poiché ho dovuto e voluto inventare qualcosa che rendesse più leggero, diciamo più agréable, la vicenda di Tosca, che di per sé è un po’ lugubre, un mattone sullo stomaco». Una Tosca “alleggerita”: perché no. Andrà in scena al Sistina, tempio di tutti i suoi successi, da Rugantino ad Aggiungi un posto a tavola? «Ancora non lo so. Per fare la Tosca a teatro bisogna avere degli attori che oggi non ci sono più: nel cast del nostro film c’era Gassman, c’era Monica Vitti, c’era Gigi Proietti, c’era Aldo Fabrizi. Oggi, a quarant’anni di distanza, non ci sono attori in grado anche di cantare paragonabili a loro, a parte il bravissimo Proietti». Se gli chiedi chi ammira oggi fra i cantanti di musica leggera risponde abbozzando un sorriso: «Nessuno». Poi, dopo averci molto pensato, aggiunge: «Frank Sinatra era un cantante. Tra le donne Barbra Streisand, Whitney Houston, Ella Fitzgerald». E del suo amico Renato Zero cosa pensa? «L’ho conosciuto alla Rca quando era un poveraccio, forse non aveva ancora vent’anni. Ricordo quanto fosse grande il suo disagio perché veniva preso in giro da tutto il mondo. Ha dovuto combattere con forza per affermarsi. Più che un cantante, lo definirei un uomo di spettacolo». Sul lucente pianoforte a coda c’è un calendario rosso fuoco da sfogliare giorno per giorno dal titolo Sex: ogni foglio ha il disegno con una posizione del Kamasutra diversa. Sulla mensola vicino al piano una foto di Sophia Loren nella scena madre della Ciociara: «La tua musica e la sofferenza di questa scena mi accompagneranno per tutta la vita. Grazie Armando. Tua Sophia», si legge nella dedica. In un’altra foto incorniciata, molto più recente, ecco Trovajoli al pianoforte e accanto a lui, in piedi, Salvatore Accardo che suona il violino. È molto vecchia invece, e un po’ sbiadita, la foto in bianco e nero di Trovajoli con il suo amico Benedetti Michelangeli seduti a un tavolo apparecchiato in modo frugale, con due rustici fiaschi di vino. «Ho avuto la fortuna di essere onorato della sua amicizia. Ogni volta che Arturo veniva a Roma ci ritrovavamo in casa di Mario Ciampi, quello dei pianoforti. Dopo cena si finiva sempre a suonare. Cioè: suonavo sempre io. Benedetti Michelangeli diceva che gli piaceva il mio suono e il mio modo di improvvisare ed era talmente entusiasta che mi propose di eseguire con lui in pubblico il Concerto per due pianoforti di Mozart. Io l’ho studiato a lungo, ma alla fine non me la sono sentita e gli ho detto: caro Arturo, questo concerto lo fai con chi vuoi perché io non avrò mai il coraggio di suonare con te. Era l’uomo più schivo, più ermetico, più solo, più solitario del mondo. Non aveva mai slanci con nessuno. Stranamente con me li ha avuti». Quando si mette al pianoforte si siede su una sedia pieghevole, di stoffa, da regista. È suonando che gli viene l’ispirazione? Quali sono i momenti più creativi? «Né al pianoforte né da nessuna altra parte: semplicemente capita. Capita mentre faccio altro, per esempio quando mia moglie mi sgrida perché mangio troppo poco e allora io mi tappo le orecchie. No, di notte non sogno mai la musica. Quando poi non riesco a esprimere ciò che sento dentro non è il pianoforte che mi tormenta, ma sono le note, la sequenza. Le vedo come se fossero delle lettere. Che vanno a comporre parole e frasi, solo che al posto delle parole c’è la musica, come se fosse un solfeggio cantato». Scrivendo musica non si invecchia, teorizza il maestro: «La musica è una fonte inesauribile di infantilismo. Io credo che chi fa musica è sempre un bambino. Io ho novantacinque anni ma penso come se ne avessi sei. Perché abbiamo un altro mondo dentro: un mondo che suona, un continuo carillon, una continua ninna nanna che però non ti addormenta, ma è un accompagnamento, una nenia che ti culla per il resto dei tuoi giorni». Impossibile sottrarsi: «Nasci con questo suono dentro che non ti lascia mai. Anche nei momenti più disperati, e ne ho vissuti vari, ho seguitato a tirar fuori la musica, a scriverla. In uno dei momenti più bui della mia vita, in cui mi sarei addirittura sparato (fa il segno della pistola alla tempia con indice e pollice) ho scritto Ciao Rudy ». Che sarebbe diventato un musicista lo capì prestissimo: «Mio padre, un uomo buono e mite come San Francesco, un grande violinista fallito morto troppo presto, mi mise in mano il mio primo violino che avevo solo quattro anni. Mi ha impostato, mi ha insegnato a tirare l’archetto e a fare le note». Eppure oggi Trovajoli sostiene che scrive musica «per caso», lui che è autore di oltre trecento colonne sonore di film, da De Sica a Monicelli, da Risi a Scola: «Comporre non è che mi piaccia tanto. Sono stato portato a fare la composizione non so bene perché, quasi contro natura. Ormai è diventata un’abitudine. Forse avrei potuto essere un buon pianista, ma non con queste mani... ». Le mostra, le guarda, le gira divaricando le dita: sono mani normalissime. «Normali? Le mie mani sono orribili, da impastatore di salsicce. Le dita avrebbero dovuto essere molto più lunghe. Ho sempre sognato di avere mani lunghe e affusolate come quelle di Benedetti Michelangeli. E anche molti più capelli in testa». Cos’ha in serbo per il futuro? Trovajoli risponde con un sorriso fioco: «Questo musical di Toscanon è un impegno, è quasi un dovere, come se fosse un conto in sospeso, una cambiale in bianco che dovevo firmare». Ha anche appena finito di scrivere la sua autobiografia con l’aiuto di Alfredo Gasponi, «uomo sensibilissimo e colto, insegnante al Conservatorio». Racconta Maria Paola: «Il libro di fatto è pronto ma siamo bloccati da qualche difficoltà con gli editori. Sembrano molto più interessati ai pettegolezzi che non alle pagine serie». «Sono stanco» aggiunge il Maestro. «Per fare progetti bisognerebbe che arrivasse un signore e mi dicesse: c’è questa cosa da scrivere, ecco il soggetto. Allora forse lo farei, allora prenderei fuoco, ma non so: forse sarebbe un fuoco di paglia. Potrebbe cominciare bruciando e poi spegnersi per mancanza di forze ». Di nuovo il pensiero corre alla morte, la fine di tutto: «Dopo non c’è nulla, ne sono sempre più convinto. Mi sono progressivamente allontanato sempre più dalla Chiesa, ma sono un ammiratore incondizionato del cardinal Martini, un grande uomo illuminato. No, dopo non c’è nulla: quando è finita è finita, non c’è metempsicosi, non c’è reincarnazione, non c’è ritorno, non c’è niente di niente. È una convinzione che ho maturato durante la guerra. Cosa vuoi raccomandarti a Dio? Se muori muori. Quando vado da papà e da mamma nel cimitero di Sangemini, due o tre volte all’anno, so benissimo che è una commedia quella che faccio».