Conchita Sannino, la Repubblica 2/12/2012, 2 dicembre 2012
La cappa di ricatto e violenza non si era dissolta nonostante le stangate inflitte ai padrini, il racket non aveva abbassato la saracinesca, il ciclo continuo della sopraffazione targato clan dei casalesi continuava a girare nell’omertà generale, ai livelli più spiccioli e selvaggi
La cappa di ricatto e violenza non si era dissolta nonostante le stangate inflitte ai padrini, il racket non aveva abbassato la saracinesca, il ciclo continuo della sopraffazione targato clan dei casalesi continuava a girare nell’omertà generale, ai livelli più spiccioli e selvaggi. Macinando, ad esempio, anche 200mila euro in un mese. Facendo camorra di piccoli e diffusi commerci. Come l’acquisto forzato dei gadget natalizi, calendari e penne e altri oggetti inutili, a ogni dicembre. O come l’imposizione, nel palinsesto di tivvù locali o al banco di feste pubbliche e cerimonie private, delle prestazioni dei cosiddetti cantanti neomelodici: merce tipica della rappresentazione del potere criminale nel Mezzogiorno. Dodici arresti e un altro pezzo di Gomorra che si sgretola. Il clan, stando agli accertamenti dei carabinieri di Caserta, offriva anche artisti della propria “scuderia”, un’agenzia “La Normanna” ovviamente fuorilegge. Da un lato, cantori del boss; dall’altro, colonna sonora e status symbol della cosca. Racconto spezzato ieri dal blitz della Procura antimafia di Napoli con le accuse di associazione mafiosa, estorsione, traffico di armi e di droga. L’impianto dei pm Giovanni Conzo, Antonello Ardituro e Maurizio Giordano, coordinati dal procuratore Federico Cafiero de Raho, spedisce in carcere boss e luogotenenti: Gaetano De Biase, Pietro Falcone, Giovanni Menale, il “Maradona’ dell’agro aversano, e Gennaro Musto. Tanti i collaboratori di giustizia. Uno in particolare, Salvatore Laiso, punta il dito sugli affari dei neomelodici. E tre di quei cantanti, avvantaggiati dal legame con la cosca, sono stati perquisiti e risultano indagati. Anche per loro l’ipotesi è di estorsione. Si tratta di Ciro Riggione, Nico Desideri e Ida D’amore (alias Rita Ferrara, a sua volta moglie del capoclan De Biase). Racconta Laiso: «Mettevamo sotto estorsione anche le reti televisive. Imponevamo ai gestori delle reti di far apparire il video dei cantanti e la pubblicità di determinati esercizi commerciali». Artisti di modesto cachet, ma spalle coperte dai boss: 200 euro a prestazione. Storia vecchia, da queste parti. Ma emerge un altro aspetto inquietante: spesso partecipavano sindaci e amministratori pubblici alle riunioni in cui l’emissario di clan imponeva i “suoi” artisti. Lo sottolinea il gip Isabella Iasella nella sua ordinanza. «Laiso chiarisce di aver saputo di tale attività direttamente dal De Biase. Ma in alcuni casi era stato presente quando i sindaci e gli organizzatori (delle agenzie sotto accusa, ndr) stabilivano quali cantanti dovevano esibirsi». Il racket gonfiava i guadagni di casa Schiavone. Il blitz dei militari di Caserta, dopo due anni di lavoro, punta infatti alla cassa di un rampollo eccellente: i traffici di Nicola Schiavone, figlio di Francesco, il boss Sandokan, e già in cella da oltre un anno, accusato di cinque omicidi, candidato al “fine pena mai” come l’ergastolano suo padre. Nell’indagine, emergono poi figure di madri-erinni, assetate di vendetta. Come Silvana Limaldi, 55 anni, tra gli arrestati. È l’unica che grida ai carabinieri: «Ce l’avete fatta, ci volevate distruggere ». Un altro pentito, Nicola Cangiano, un fedelissimo del gruppo Falcone, sentito il 2 febbraio, svela la natura di quella madre. «È stata lei, la Limaldi, ad incitare il figlio Pietro Falcone a prendere il posto del padre del clan (era Ettore, boss di Aversa, fu ucciso quando il figlio aveva 10 anni, ndr). È stata lei a suggerire a quel ragazzino anche in età di adolescente a fare tutte le attività delittuose. Usava sempre un’espressione: “Devi alzare da terra il sangue di tuo padre”. E difatti quando facevamo le riunioni sedeva a capotavola».