Richard Burton, Corriere della Sera 2/12/2012, 2 dicembre 2012
Sullo schermo ha attraversato il tempo. Per ogni epoca — dall’antica Roma in poi (in Cleopatra era Marco Antonio) — c’è sempre stato un ruolo perfetto per Richard Burton
Sullo schermo ha attraversato il tempo. Per ogni epoca — dall’antica Roma in poi (in Cleopatra era Marco Antonio) — c’è sempre stato un ruolo perfetto per Richard Burton. Eppure lui, quel destino da attore scolpito già nei suoi lineamenti forti che facevano impazzire l’Hollywood degli anni d’oro, l’ha sempre detestato. «Io odio, odio, odio recitare», scriveva Burton sui suoi diari. Diari che ora sono diventati un libro (The Richard Burton Diaries, testi raccolti da Chris Williams, Yale University Press) in cui l’attore gallese stronca senza pietà «il lavoro», così lo definisce, che ha fatto per tutta la vita (fino alla morte, nel 1984). «Sono così annoiato dal mio lavoro che solo bere allevia il dolore». Una repulsione che non ha conosciuto tregua nemmeno con il passare degli anni, e che lo ha costretto a interpretare un ruolo — quello del divo del cinema — anche quando non era sul set: «Tutta la vita credo di essermi segretamente vergognato di essere un attore. E più invecchio, più me ne vergogno». Il motivo per cui non ha mai smesso di recitare è spiegato con la stessa crudezza: «Mi piace essere famoso». Inoltre «i soldi sono molto importanti. Non importantissimi, ma aiutano molto». La lettura. Questa è sempre stata la vera passione di Burton che, in materia di sogni, avrebbe preferito immaginare per sé un futuro da scrittore. Leggeva anche tre libri al giorno, ne possedeva moltissimi, degli argomenti più disparati e amava la poesia tanto che era solito impararne a memoria (lui stesso parlava «dell’ampio bagaglio di versi memorizzati e memorabili che sono qui, nella mia testa»). La sua gioia era comporre. La sua musa non poteva che essere l’amore della vita, la donna che ha sposato (e da cui ha divorziato) due volte (nel ’64 e nel ’75), Elizabeth Taylor: «Sono stato straordinariamente fortunato nella mia vita, ma la fortuna più grande è stata Elizabeth». Una passione totale che si legge in questi omaggi, fino a poco tempo fa inediti e ora apprezzati da lettori e critici. Tutti senza giri di parole, in stile Burton: «Sono pazzamente innamorato di lei... Voglio fare l’amore con lei ogni minuto... Avrà problemi a camminare per due giorni o tre». Oppure: «Dopo sette o otto anni, ancora sento la sua mancanza se va in bagno». «Mio Dio, è così bella. Ogni tanto perfino ora, dopo otto anni di matrimonio, la guardo mentre dorme alle prime luci di un’alba grigia e la desidero». Nei suoi pensieri tradotti in parole c’è l’immagine inedita e più vera di Burton. Un uomo appassionato, dai giudizi netti (diversi, impietosi, anche sui suoi colleghi. Di Mia Farrow scrive: «Ha una risata falsa come la rassicurazione di un dentista»), che descriveva così gli attori famosi: «Sono degli dei nei loro specchi. Specchi distorti». Del resto, lui in cuor suo si sentiva uno scrittore. Chiara Maffioletti