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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

A un certo punto, nell’attesa, ho anche pensato di scrivere una lettera aperta a mio figlio e agli altri occupanti: cari ragazzi vi scrivo, del resto, il suddetto genere va di moda

A un certo punto, nell’attesa, ho anche pensato di scrivere una lettera aperta a mio figlio e agli altri occupanti: cari ragazzi vi scrivo, del resto, il suddetto genere va di moda. L’antefatto: martedì 20 novembre e per circa una settimana, il liceo classico Manara è stato occupato. Mio figlio, IV ginnasio, ha occupato. Mica da solo. In quei giorni, il tema delle conversazioni con gli amici era: e i tuoi figli hanno occupato? Certo che sì! Bene, ottimo, giusto, e poi sono esperienze significative. Così commentavamo. Ora, buona parte dei miei amici fa il mio stesso lavoro: giornalista, scrittore, sceneggiatore, intellettuale in senso lato. E fin qui tutto bene. Allora, accade che alcuni miei amici vengono chiamati dal collettivo, cioè dai figli. Brivido. Processi alla classe intellettuale? No, in quanto scrittori, sceneggiatori, intellettuali ecc, gli si chiede un intervento, tipo lezioni alternative. Ah, bello, queste sì che sono esperienze significative per uno scrittore ecc. Bene, ho pensato, magari chiamano anche me. E appunto, nell’attesa, mi è venuta l’idea di scrivere la suddetta lettera. Avevo pensato un breve prologo, nel quale segnalavo somiglianze e differenze con le occupazioni degli anni passati. Per esempio, alcune parole d’ordine. Durante un’occupazione nei primi anni 80, al liceo scientifico Diaz di Caserta, per protestare contro il pietoso stato in cui versava la mia scuola, scrissi sui muri: è più criminale fondare una banca che rapinarla. Negli anni successivi, ci fu la Pantera, ossia il movimento studentesco che si opponeva sia alla riforma Ruberti sia protestava contro il solito pietoso stato in cui versava l’istituzione scolastica, e bene, durante un corteo, l’ala dura del movimento mise su, tra gli applausi, uno striscione con su scritto: è più criminale fondare un banca ecc. Durante l’ultima protesta, quella contro la legge Gelmini mi trovai a parlare con degli studenti i quali oltre a farmi notare il chiaro stato pietoso in cui versava la loro scuola, espressero pareri molto chiari contro le multinazionali e poteri forti. L’ala dura del movimento poi mi segnalò un libro che dovevo leggere: «Impero» di Toni Negri e Michael Hardt. Qui, tra parentesi, ebbi un deja vu, perché, appunto, ai miei tempi, al liceo scientifico Diaz, durante l’occupazione, venne in visita un professore, guarda caso, molto amico di Toni Negri che ci parlò del Sim. Non la sim, carta telefonica, ma il Sim, lo Stato imperialista delle multinazionali. Il deja vu mi confuse allora, e la confusione aumentò quando seppi che Francesco Cossiga aveva partecipato, entusiasta, alla presentazione del libro «Impero», al piccolo Eliseo di Roma. Fin qui le somiglianze. Una differenza c’era però. Quando occupavo mi trovavo a discutere con mio padre che all’epoca detestava Toni Negri e quelli che occupavano. Certe litigate. Non vi dico le querelle con i presidi, che invocavano l’intervento della Digos, della forza pubblica, i servizi segreti. Ora, non solo mio padre non detesta più gli occupanti ecc, ma io non discuto con mio figlio, tutt’altro, gli dico: sono esperienze formative. Anche gli altri padri: e si fanno corsi autogestiti di filosofia, teatro. Cose utili, no? Esperienze formative. Lo dicono pure i presidi. E qui il dubbio: ma mica stiamo diventando tutti corporativisti. Sic: Stato imperialista delle corporazioni. Qualunque corporazione si regge anche grazie a slogan forti, così ci si riconosce nel club. E quindi la funzione critica all’interno ha pochi gradi di libertà. Che faccio? Vado a scuola e dico due parole: multinazionali e poteri forti e mi prendo l’applauso della corporazione, oppure cerco di esprimere qualche dubbio? Rischiando i fischi, si sa, a quell’età i ragazzi so’ rigidi, e poi davvero lo stato della scuola è pietoso, e allora, se poi mi fischiano, rischio di deludere mio figlio? E davanti agli occupanti. Non è che per quieto vivere, e solo per questa volta, si intende, mi conviene appoggiare la corporazione? Boh? E per fortuna che non mi hanno chiamato, così ci penso un po’ su, tanto la prossima occupazione è vicina, e poi, soprattutto, nel frattempo, in questo Paese gli slogan non cambiano.