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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

MILANO —

Se millesettecentocinquantanove ore vi sembran poche. Così la pensano i lettori di Corriere.it che ieri non hanno gradito il meticoloso calcolo dell’impegno dei docenti fatto da Rossana Bruzzone e Maria Antonia Capizzi della scuola secondaria di primo grado «Quintino Di Vona» di Milano. Le professoresse avevano elencato in una tabella quanto tempo dedicano durante l’anno a ogni attività didattica: 612 ore di lezione frontale, 206 di preparazione, 75 per la correzione dei compiti, 48 per impostare le verifiche e via di seguito: un totale di 1.759 ore; 39,98 settimanali, considerando «non lavorativi» luglio e agosto.
«C’era una volta la scuola della mattina. Quella delle insegnanti part-time, che dopo il lavoro hanno tempo per sé... C’era. Oggi non più. Oggi, alle medie, sei a scuola tutto giugno, e dal primo settembre. Tante vacanze? Sì, ma lavori di più. Quando? I sabati e le domeniche, per esempio», hanno scritto in una lettera pubblicata ieri sul Corriere della Sera. «Trattati come liberi professionisti, pagati come operai. Educatori o, all’occorrenza, babysitter. Mamme, papà, zii o anche nonni, se la famiglia manca. Burocrati, vigili, segretari. Psicologi, tuttologi, ignoranti. Secondo i punti di vista. Che vanno sempre bene perché la scuola è uno di quegli argomenti di cui pochi sanno, ma tutti parlano».
Centinaia i commenti arrivati online per criticare, ridicolizzare o ridimensionare lo sfogo delle due insegnanti. Con sarcasmo: «Integrali e derivate vengono calcolati diversamente; i Continenti vanno alla deriva quindi cambiano anche gli atlanti; Platone, Dante, Pascoli, Manzoni, Carducci ogni anno pubblicano nuovi testi; l’anno prossimo Cesare varcherà ancora il Rubicone?». O con puntiglio: «Vogliamo aggiungere che un insegnante non ha mai lavorato il 24 dicembre o tra Natale e Capodanno o nella settimana di Pasqua?». Compreso il fuoco amico dei colleghi: «Lavoro da 35 anni nella scuola e le ore riportate mi sembrano, mediamente, gonfiate. D’altra parte in mancanza di criteri oggettivi di valutazione ciascuno può dire quello che vuole».
Alcuni hanno provato a difendersi. «Credo che molti di noi prof preferirebbero timbrare un cartellino alle 8 e alle 16, avere una stanza riscaldata, una scrivania, un computer, dei buoni pasto o una mensa. Preferirebbero tornare a casa senza pacchi di compiti e libri scolastici dove preparare le lezioni». E ancora: «Ma siete mai stati in una scuola italiana? Io per assemblare i testi da presentare per un modulo sulla poesia amorosa del ’900 ho impiegato un pomeriggio di ricerche. Come potrei farlo a scuola senza computer, senza testi adeguati, senza i miei libri, i miei appunti, il mio schedario? Dimenticavo, tutto rigorosamente pagato da me e non detraibile dalle tasse».
All’acredine manifestata dai lettori replica Lucrezia Stellacci, capo dipartimento Istruzione al ministero, da 35 anni nell’amministrazione scolastica. «È vero, c’è chi non impiega 1.759 ore all’anno. Ma conosco tanti che dedicano dodici al giorno agli studenti: sono quelli che vivono il loro lavoro come una missione. C’è poi chi lo prende come una professione, e si impegna scientificamente in modo inappuntabile. E c’è infine chi lo considera un mestiere, con l’alibi che con quello stipendio non vale la pena fare più di tanto».
Per la funzionaria del governo Monti il vero problema è che «non c’è valutazione, non c’è carriera, non c’è controllo. Tutto è affidato alla propria coscienza e alla capacità dei dirigenti di coinvolgere tutti».
Quanto alla lettera delle due professoresse milanesi, Lucrezia Stellacci è comprensiva: «Penso che oggi la buona scuola si senta mortificata. Non le critico, anzi saluto l’iniziativa con plauso».
Elvira Serra