Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 30 Venerdì calendario

IL ROMANO CHE HA MESSO EINSTEIN SOTTO ESAME


Quasi cento anni fa, nel 1913, Albert Einstein scriveva allo scienziato e filosofo ceco Ernst Mach ringraziandolo per alcune sue idee che lo avevano ispirato nello studio di una teoria generale dello “spazio-tempo”. Einstein era già noto per la teoria della relatività ristretta concepita nel 1905 e allora lavorava alla teoria della relatività generale che avrebbe presentato due anni più tardi. Mentre stava conquistando la sua seconda straordinaria meta scopriva un effetto a essa legato alla cui base c’è la deformazione dello “spazio-tempo” causato dalla gravità di un corpo celeste in rotazione per cui, per esempio, il tempo scorre diversamente rispetto a un corpo che non ruota e un raggio di luce si piega in modo differente.
«Lo chiamiamo “frame-dragging”, cioè effetto di trascinamento dello “spazio-tempo”, e interessa ovviamente anche l’ambiente che circonda la nostra Terra» racconta Ignazio Ciufolini. Da quel momento i fisici sono andati a caccia di una conferma che si unì quasi subito a quella della relatività generale. È trascorso quasi un secolo e le discussioni sono ancora accese. «Anzi», precisa Ciufolini, «negli ultimi anni la famosa teoria delle stringhe, che generalizza le visioni di Albert Einstein, potrebbe prevedere alcuni altri fenomeni non descritti dalle sue straordinarie intuizioni. Ciò ha spinto ancor di più verso la ricerca di conferme delle idee del genio e tra queste c’è l’effetto di trascinamento». Per spiegarlo possiamo immaginare una pallina che ruota spostandosi in un vaso di miele. Muovendosi trascina il miele modificandone la forma. Altrettanto accade con lo “spazio-tempo” tanto intorno al nostro pianeta azzurro quanto a un buco nero, ma in tal caso con conseguenze ben più accentuate data la sua gravità ben più considerevole.
Ignazio Ciufolini ha dedicato la vita alla misura di questo strano effetto diventandone un’autorità. Ora è alla sfida finale guidando un team internazionale di scienziati. La strada percorsa è stata lunga ma sempre all’insegna della passione per la teoria della relatività e degli enigmi legati alla gravità. Infatti nel 1982 era andato all’università del Texas ad Austin per il dottorato ma anche perché voleva lavorare con uno degli scienziati-mito della gravità, John Archibal Wheeler; quello che aveva battezzato buchi neri i mostri del cielo di cui era maestro.
Ne diventa uno degli allievi prediletti ma dopo sette anni il romano Ciufolini decideva di tornare in Italia nonostante le seducenti offerte del Caltech, il politecnico della California. Ora insegna fisica all’Università del Salento ma dall’America all’Italia una costante lo accompagna: la misura del famoso effetto di Einstein.
«Studiando i comportamenti dei due satelliti Lageos, uno della Nasa e l’altro dell’Asi italiana, arrivai a misurarlo con un errore del 10 per cento pubblicando i risultati sulla rivista britannica Nature nel 2004 e nel 2007. Ero sulla buona strada ma ancora non bastava per dimostrare definitivamente e con precisione che esiste». Intanto allo stesso scopo la Nasa lanciava il complicato e costoso (1,5 miliardi di dollari) satellite Gravity Probe-B arrivando a un errore più elevato del 19 per cento.

Le nuove opportunità. I Lageos di Ciufolini erano invece due economiche (pochi milioni di dollari) sfere di alluminio di 60 centimetri di diametro simili a due grandi palle da golf, ricoperte da prismi di silicio. Sparando contro di loro un raggio laser e misurando i tempi di percorrenza si stabiliva che cosa succedeva nello spazio e pure tra i continenti da dove partiva e arrivava il segnale, vale a dire come si muovevano. E questo secondo aspetto consentiva di indagare i fenomeni all’origine dei terremoti.
Quando l’agenzia spaziale europea Esa collaudava il nuovo vettore Vega per piccoli satelliti, l’Asi offriva a Ciufolini l’opportunità di mettere a bordo un nuovo satellite di questa specie battezzato Lares. Lo progettava il professor Antonio Paolozzi dell’Università La Sapienza di Roma. Più piccolo (36 centimetri) dei predecessori, era invece più pesante (una sfera di tungsteno) e collocato su un’orbita diversa avrebbe consentito di misurare il fatidico effetto con l’errore dell’uno per cento; in pratica conquistare la precisa conferma a lungo inseguita.
«Dal febbraio scorso Lares ruota intorno alla Terra in una posizione perfetta», precisa Ciufolini, «e le misure che stiamo raccogliendo ci dicono che siamo sulla giusta via». Il gruppo diretto da Ciufolini, che si è riunito per un primo bilancio delle indagini all’Accademia dei Lincei a Roma, comprende una decina di scienziati soprattutto tedeschi e americani, più un russo-armeno. Assieme c’è inoltre il celebre fisico-matematico britannico Sir Roger Penrose autore di libri famosi (La mente nuova dell’imperatore e La strada che porta alla realtà, Rizzoli).
E una volta conquistato l’ambitissimo risultato? «Intanto abbiamo la certificazione che il tempo e lo spazio non sono valori assoluti come nella fisica di Newton», risponde Ciufolini. «In aggiunta possiamo comprendere comportamenti degli astri ora sconosciuti, come le emissioni di getti di materia dai nuclei delle galassie, o che cosa succede intorno ai buchi neri o alle compatte stelle a neutroni rotanti. Ma penetrare questi segreti della relatività significa anche arrivare a sofisticatissime tecnologie riguardanti, per esempio, il Gps americano e il Galileo europeo. Se questi strumenti non tenessero conto della teoria della relatività sbaglierebbero a indicare la posizione di molti chilometri come un esperimento ha verificato».
La più celebre verifica della relatività di Einstein la effettuò l’astronomo britannico Arthur Eddington, nel 1919, recandosi nelle isole di São Tomé e Principe, nell’Oceano Atlantico, dimostrando durante un’eclisse che la luce era deviata dalla massa del Sole. Per Einstein fu la consacrazione ma per le idee dei genio di Ulm gli esami continuano.