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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

L’irriducibile Miriam Mafai Comunista in vita e in morte - Mi sono accostato con ri­spetto, ma anche con cu­riosità, all’autobiogra­fia postuma di Miriam Mafai Una vita, quasi due che la figlia Sara Scalia ha curato per l’editore Riz­zoli

L’irriducibile Miriam Mafai Comunista in vita e in morte - Mi sono accostato con ri­spetto, ma anche con cu­riosità, all’autobiogra­fia postuma di Miriam Mafai Una vita, quasi due che la figlia Sara Scalia ha curato per l’editore Riz­zoli. Con rispetto perché Mafai- mi pa­re sia così che si deve scrivere adesso, anziché «la Mafai»- è stata una eccel­lente giornalista, una donna simpati­ca e un pers­onaggio di rilievo sulla sce­na politica e culturale italiana. Veni­va da una famiglia un po’ eccentrica d’artisti di talento, è stata una mili­tante del Pci con fedeltà e discipli­na a 24 carati, ha avuto a lungo co­me compagno d’ideologia e di vita Giancarlo Pajetta: famoso per le sue battute e per l’agilità con cui,nelle ac­cese dispute parlamentari, saltava i banchi... Rispetto dunque. E poi la curiosità che sempre suscitano in me le pagine dove i vedovi nostalgici del co­munismo raccontato le loro vicende, le loro passioni, le loro emozioni. In tutti co­loro che al marchio di si­nistra non hanno ri­nunciato mi pare di cogliere una lacera­zione a malapena dissimulata. Am­mettono - come potrebbero non farlo? - le abbie­zioni e le sconfitte della fede in cui hanno creduto ciecamente ma in­sistono nel ritene­re che le loro posizio­ni fossero più oneste e più nobili di quelle de­gli anti... Miriam Mafai, militante senza dubbi, deve a un certo momento scontrarsi con il trionfo democristiano del 18 aprile 1948. Ec­co i sarcasmi con cui lo rievoca: «Solo l’America poteva difendere noi e i no­stri bambini contro i cosacchi. E si mo­bilitano anche le Madonne. Piange per prima la Vergine di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, poi la Madonna di Rocca San Felice nel napoletano, al­tre Madonne in Garfagnana, a Caglia­ri ». Una staffilata all’oscurantismo di chi aveva votato De Gasperi. Non è che io abbia apprezzato l’uso delle Madonne e l’eloquio messianico di padre Lombardi, detto «il microfono di Dio». Ma assieme alle ironie avrei voluto leggere, sulle pagine di Una vi­ta, quasi due e su altre pagine dell’ab­bo­ndante memorialistica postcomu­nista, una sommessa ammissione. Le beghine e i frequentatori delle parroc­chie avevano visto giusto, noi del Fronte popolare sbagliavamo. No. Si dice invece che «la campagna eletto­rale fu stupida e feroce insieme ». Lo sa­rebbe stata anche se avesse vinto il Pci? Per Miriam ho avuto simpatia e sti­ma. Mi sono battuto, come presiden­te di giuria, perché un suo precedente libro avesse il premio «Acqui Storia». Le righe in cui sintetizza l’adorazione del popolo comunista per l’Unione Sovietica sono perfette. «Nei nostri co­mizi spesso parlavamo dell’Urss co­me del Paese nel quale tutti avevano un impiego, tutti i bambini andavano a scuola, tutte le donne lavoravano, dove insomma non esistevano né di­suguaglianze né miseria né disoccu­pazione... Chi legge oggi quelle dichia­razioni, o quelle testimonianze, quei resoconti di viaggio, quelle descrizio­ni della vita sovietica non può che re­starne sconvolto, tanto contrastano con quella che noi sappiamo oggi es­sere stata la realtà». Miriam riconosce dunque che gli agit prop ingannavano gli operai e i contadini italiani raccontando loro un muc­chio di bugie. Ma sottinten­de che anche chi le raccon­tava fosse convinto della loro veridicità. Questo non era possibile se riferi­to ai notabili del Pci che all’Uniine Sovietica ave­vano libero accesso e che ogni volta ne tornavano incantati. Ma non era pos­sibile nemmeno se riferito alla Nomenklatura minore cui apparteneva Miriam Ma­fai; che in Urss andò ripetuta­mente. E si irritò una volta per­ché dall’Urss «per motivi per me misteriosi non avrei potuto telefonare né spedire una lette­ra e una cartolina». Le visite e le escursioni erano collettive e rigoro­samente programmate. I motivi non erano misteriosi, ce n’era uno molto semplice. La patria del comuni­smo era una tirannia peggiore dei più truci regimi capitalisti. Ma nemmeno dopo quelle esperienze gli appara­tchik smisero di esaltare, negli incon­tri con le «masse», le meraviglie sovie­tiche. Sapevano e mentivano. Acqua passata da moltissi­mo tempo, con i suoi interro­gativi e con le sue mostruosi­tà. Acqua, tuttavia, che Una vita, quasi due ripropone. Non è strano che Miriam Mafai, intelligente e intra­prendente, abbia ceduto a questi conformismi. Era in numerosa compa­gnia. È tuttavia un po’ tri­ste che, pur dopo avere cambiato collocazio­ne profes­sionale ­trasmi­grando dallastam-padiparti-toaRepub-blica­edo-poaver­sa-putocom-piutamen-te cosa l’Urss fosse, continui anche adesso che non c’è più, in questo scritto po­stumo, a ostentare una certa alterigia nei confronti della mediocrità benpensante che preferì l’America a Stalin. Ma forse proprio per questo il li­bro merita d’essere letto.