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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

Giudici e avvocati in rivolta attaccano il procuratore: «Niente privilegi a Sallusti» - Una Procura spaccata, scossa da polemiche interne senza precedenti, con il suo ca­po Edmondo Bruti Liberati in minoranza se non addirittura isolato

Giudici e avvocati in rivolta attaccano il procuratore: «Niente privilegi a Sallusti» - Una Procura spaccata, scossa da polemiche interne senza precedenti, con il suo ca­po Edmondo Bruti Liberati in minoranza se non addirittura isolato. I magistrati dell’ufficio esecuzione, in rotta di collisio­ne con Bruti, che minacciano ­se dovesse venir accolta la ri­chiesta di arresti domiciliari per Alessandro Sallusti- di sommer­gere il tribunale di Sorveglianza con centinaia di pratiche di de­tenuti qualunque, chiedendo anche per loro lo stesso tratta­mento del direttore del Giorna­le . E gli avvocati penalisti in rivol­ta, al punto di chiedere con un comunicato se non sia il caso di rimuovere dalle aule d’udienza la scritta che vi campeggia da qualche anno: «La legge è ugua­le per tutti». Se la via d’uscita per il caso Sal­lusti escogitata dai vertici della Procura milanese,con la richie­sta d’ufficio di arresti domicilia­ri, doveva servire a rasserenare il clima intorno al caso del diret­tore del Giornale , bisogna am­mettere che l’obiettivo è stato vi­stosamente mancato, e l’intero esito della vicenda torna in di­scussione. Il provvedimento di Bruti Liberati viene accusato esplicitamente, da parte dei pm, di riservare a Sallusti un trat­tamento diver­so da quello quo­tidianamente inflitto a condan­nati qualunque, che si vedono spediti a espiare la pena senza tanti complimenti. E- fatto sen­za precedenti- un gruppo di ma­gistrati tra cui il procuratore ag­giunto Nunzia Gatto, capo del pool esecuzione, e un «grande vecchio» come Ferdinando Po­marici, fanno recapitare a Bruti una missiva formale, registran­dola al «protocollo riservato» dell’ufficio,in cui mettono nero su bianco la loro dissociazione dalla decisione del capo. La disposizione di Guido Brambilla, giudice di Sorve­glianza competente per la lette­ra S, non arriverà prima della prossima settimana. Ma saran­no giorni tempestosi, a Palazzo di giustizia. Perché quello che poteva sembrare un passaggio burocratico o poco più, ovvero la ratifica della decisione presa dal procuratore Bruti Liberati, si sta trasformando nella nuova battaglia di chi, dentro la Procu­ra, considera un privilegio intol­le­rabile quello riservato a Sallu­sti. È l’ala intransigente, quella che non ha rinunciato a spedire in cella Sallusti «come qualun­que altro cittadino », e come egli stesso ha ripetutamente chie­sto. E se Brambilla dovesse riget­tare l’istanza, Sallusti verrebbe subito chiuso in cella. Il quartier generale dei «duri» è in questo momento l’ufficio esecuzione della Procura, quel­lo che si occupa abitualmente di dare attuazione alle condan­ne, in questa occasione di fatto esautorato da Bruti Liberati che ha deciso e firmato da solo la ri­chiesta di domiciliari. Il pool esecuzione ha a disposizione un’arma psicologicadi non po­co conto: se Brambilla dichiare­rà ammissibile l’istanza di Bruti Liberati, allora i pm potrebbero sommergerlo di decine e centi­naia di altri fascicoli. Sono i fasci­coli di tutti i condannati che si sono visti chiudere in carcere, una volta scaduti i termini della sospensione della pena. Se può andare ai domiciliari Sallusti,di­cono all’ufficio esecuzione, allo­ra ci possono andare anche que­sti. Lo scontro si gioca intorno a valutazioni tecniche e analisi giuridiche ma dietro c’è la vera accusa che parte dell’ufficio fa a Bruti: quella di essere un magi­strato troppo politico, attento a ciò che accade intorno, e non unicamente ad una asettica ap­plicazione delle norme. La Gat­to, Pomarici e gli altri dissidenti sostengono che le norme sono talmente chiare da consentire una sola interpretazione: una pena non può essere sospesa due volte. Il decreto di Bruti, dunque, sarebbe figlio di un’inaccettabile interpretazio­ne ad personam . Benissimo, dicono invece gli avvocati milanesi della Camera penale: ammettiamo Sallusti ai domiciliari. Ma non può trattar­si di un privilegio. Il caso Sallu­sti, scrivono «è la dimostrazio­ne di quale binario differenzia­to venga adottato talvolta, e sempre in favore di chi ha una posizione privilegiata, in evi­de­nte contrasto con quella scrit­ta che dovrebbe essere lo scopo cui il governo della Giustizia de­ve tendere». Gli avvocati danno atto al pro­curatore capo di avere sviluppa­to «un articolato e raffinato ra­gionamento » per arrivare a rite­nere possibile la concessione dei domiciliari a Sallusti senza una sua richiesta, e addirittura contro la sua volontà. «Non im­porta- aggiungono- se per acce­dere a questa soluzione viene percorsa una strada davvero in­consueta ». Ma se vale per uno, dicono gli avvocati, deve valere per tutti: «L’unico modo per to­gliere dal vestito utilizzato dalla Procura della Repubblica di Mi­lano la polvere del sospetto di una decisione presa solo in con­sid­erazione del clamore della vi­cenda processuale, non può che individuarsi in una genera­lizzat­a applicazione di questa li­nea interpretativa. Nei confron­ti di chi, esemplificando, per me­ro errore lascia decorrere il ter­mine, di chi non può permetter­si un avvocato che proponga una istanza».