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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

Che schifo l’ironia chic dei «colleghi» - Quello che fa impres­sione, un bel po’ im­pressione al di là del­le notizie, è il clima, il tono

Che schifo l’ironia chic dei «colleghi» - Quello che fa impres­sione, un bel po’ im­pressione al di là del­le notizie, è il clima, il tono. La questione Sallu­sti, che dovrà scontare i suoi quattordici mesi di reclusio­ne ai domiciliari e cioè nella casa della sua compagna Da­niela Santanchè da lui eletta a domicilio, è stata trat­tata da quasi tutta la grande stam­pa nazionale­ Corriere ,Repubbli­ca e Stampa per non dire del Fatto - col tono un po’ mondano e un po’ sfottente, finto ironico e incli­ne a una certa cialtroneria. Il fatto dovrebbe far riflettere tutti, anche se la questione è stata alleggerita da Bruti Liberati che con un colpo d’ingegno e facendo appello alle nuove norme svuota-carceri, ha stabilito che per il direttore del Giornale non ci saranno le violen­ze fisiche legate alla carcerazione (manette, ispezione intima del corpo,il bugliolo,le sbarre) ma sol­tanto quel piccolo accidente che si chiama perdita della libertà. Che un direttore di giornale possa perdere la propria libertà persona­le per aver pubblicato, o lasciato pubblicare, un articolo fatto di pa­role - per quanto possano le paro­le essere sbagliate, gravi e persino infami, false, ignobili - è una cosa che investe direttamente la que­stione sia della libertà personale che della libertà di stampa. Io ho sempre pensato che per un delitto fatto di parole, quali che siano, nessuno e non soltanto i giornalisti, dovrebbe poter essere condannato alla galera. C’è una sproporzione che allarma anche la famosa Europa di cui tutti ci riempiamo la bocca («Ce lo chie­de l’Europa»). La vecchia norma fascista era buona per una dittatura: i di­rettori devono filare diritti e chi sgarra va in galera. È vero, parole gravi e anche gravissi­me, spesso fal­se o violente, so­no state sempre scritte su tutti i giornali di destra e sinistra e accu­se insostenibili e false vengono stampate senza un’ombra di pu­dore e mai chiedendo poi scusa. Ne so qualcosa io che, comepresi­dente di ­una commissione parla­mentare d’inchiesta mi sono visto accusare sulla grande stampa na­zionale di aver arredato a Napoli un «ufficietto»dove in compagnia di agenti dei corpi dello Stato avrei forgiato documenti falsi per diso­norare eminenti nomi della sini­stra italiana. Quando mi rivolsi al­la magistratura, fu celebrato in sor­dina un processo la cui sentenza sosteneva che si poteva scrivere il falso perché rientrava nel diritto di cronaca. Dunque si potrebbe dire che ci sono due pesi e due misure, ben­ché io non invocassi la galera ma solo il ristabilimento della verità. Poi ho visto con i miei occhi il caso del collega ed amico, nonché se­natore Lino Jannuzzi, condanna­to a una pena detentiva per reati a mezzo stampa accumulati nel tempo e comminata negli arresti domiciliari. Così, il senatore Jan­nuzzi che a norma della Costitu­zione r­appresentava in Parlamen­to come ciascuno di noi l’intero po­polo italiano, veniva in aula ac­compagnato dai carabinieri - sem­pre gentilissimi- i quali lo preleva­vano all’uscita e lo riportavano al­la casa-­prigione. Sallusti vuole essere sicuro che gli permettano nella casa degli ar­resti domiciliari di lavorare facen­do il Giornale di cui è direttore, usando gli strumenti tecnologici. Il fronte di quelli che oggi plaudo­no alla privazione della libertà di Sallusti sottolineando le magnifi­cenze della casa in cui sconterà la pena (caspita: c’è persino una pi­scina e non è possibile escludere un barbecue), lasciano intende­re, anzi dicono che questo giorna­lista non deve fare il direttore dalla casa-prigione, ma che debba fare il detenuto, sia pure seduto in pol­trona. E allora giova ricordare lo straor­dinario caso di Adriano Sofri il qua­le, condannato se non ricordiamo male con sentenza definitiva per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi (il cui figlio è il bravissi­mo direttore della Stampa di Tori­no, uno dei giornali che ieri trasu­davano ostilità e sarcasmo), aveva il diritto di trasformare la propria cella di detenuto in una redazione da cui sfornava articoli e scritti di vario genere, tutti pubblicati al­l’istante, con una produzione rag­guardevole per qualità e quantità. È normale tutto ciò? È davvero co­sì divertente, o degno di sarcasmo e piccineria il caso di un giornali­sta che dirige un giornale d’opinio­ne, anzi ne ha diretti due, di cui si discute anche il diritto di scrivere e diffondere parole, impaginazioni e titoli? Il fatto è che gli stessi giornalisti, che conducono una battaglia poli­tica, spesso esasperatamente di parte, usciti dal ring del combatti­mento continuano volentieri la rissa sul piano personale. Tutto ciò configura ancora una volta un Paese poco civile, come conferma il fatto che siamo i primi inadem­pienti di fronte alle regole euro­pee d­i tutela della dignità della persona e del sistema repressivo e del­le detenzioni. E i giornalisti sono così ciechi da non vedere che l’uso della galera per i colleghi politica­mente avversari li rigua­rda direttamente perché domani può tocca­re a uno di loro augurarsi di avere una bella casa in cui essere chiusi a chiave. Ricordo un altro caso in genere dimenticato. Quando Eugenio Scalfari, allora direttore del­l’ Espresso, e lo stesso Lino Jannuz­zi che ho nominato sopra, giornali­sta dell’ Espresso, furono condan­nati per gli articoli sui fatti del lu­glio 1964 e il cosiddetto Piano So­lo, entrambi furono salvati dalla galera dal segretario del Psi Giacomo Mancini che li mise in lista e li fece eleggere, Scalfari alla Camera e Jannuzzi al Senato, affinché po­tesse­ro godere dell’immunità par­lamentare che allora (1968) era au­tomatica e grazie alla quale il Pci aveva salvato dalla galera molti suoi ex partigiani che a guerra fini­ta avevano seguitato a sparare e uccidere. Nessuno ebbe da ridire, allora. Anzi, l’opinione pubblica faceva il tifo per i giornalisti così co­me in Ame­rica le radio libere fan­no il tifo per i fuggiaschi. Nel caso Sallusti non ci sono fug­giaschi. Il direttore del Giornale aveva già ieri pronta la borsa d’or­dinanza. Ciò che invece non era previsto era il tono da pollaio che ieri mattina si poteva percepire da molti giornali, come se il caso Sal­lusti, ora che si può sbattere in pri­ma pagin­a almeno il ritratto crimi­nale di una piscina, fosse diventa­to il soggetto per un film all’italia­na in cui tutti ridono e non si sa per­ché. La verità, peraltro visibile e ba­nale, è che un giornalista, «delin­quente incallito » per il reato di pa­rola, viene messo sotto chiave. La chiave sarà magari dorata, o elet­tronica, le luci soffuse e speriamo per lui la piscina riscaldata, ma ab­biamo sotto gli occhi il caso di un giornalista che riceve sulla sua per­sona fisica una pena derivata da un articolo, peraltro nemmeno scritto da lui.