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 2012  novembre 30 Venerdì calendario

ARTURO PARISI SI BATTE PER RENZI


E’ Romano Prodi che ha armato il braccio di Arturo Parisi contro Pierluigi Bersani? Certamente al tandem Prodi-Parisi spetta la primogenitura dell’invenzione delle primarie. Essi hanno marciato assieme, d’amore e d’accordo, fino al patatrac di Fausto Bertinotti che fece cadere il governo Prodi. Poi i legami si sono affievoliti e le strade divaricate: il Professore ha scelto di fare il padre nobile e apparentemente distaccato del Pd (e punta al Quirinale), l’ex-ministro della Difesa è invece rimasto in trincea a combattere una personale intifada contro il gruppo dirigente pidiessino colpevole, a suo dire, di avere tradito lo spirito dell’Ulivo.
Entrambi hanno però votato alle primarie, Prodi a Bologna, ma dopo avere infilato la scheda nell’urna non ha voluto rivelare dove aveva apposto la croce, con smacco per i bersaniani che speravano in uno spot a loro favore come quello di Susanna Camusso nella trasmissione di Lucia Annunziata.
Parisi ha invece votato a Sassari e ha annunciato di avere scelto Matteo Renzi, convinto a tal punto da impegnarsi, in vista del ballottaggio, in una campagna elettorale per il sindaco di Firenze. In effetti sta girando in lungo e in largo per portargli voti.
Ieri era a Ravenna (sala Cappello) per spiegare che Renzi impersona quello spirito dell’Ulivo che trionfò con lui e con Prodi ma che poi fu mandato in frantumi per colpa anche di coloro che a parole assicuravano di sostenerlo ma che in realtà tramavano nell’ombra: «La proposta di Renzi si rivolge a tutti, senza delegare ad altri il compito di parlare ai moderati e raccogliere il loro consenso. Si tratta di un ritorno al progetto originario del Pd come partito nuovo e per tutti. Non il partito dei soli progressisti che delega a Casini il voto moderato con la promessa di accordarsi dopo».
Parisi lancia anche un appello a Nichi Vendola: non si intruppi con Bersani perché, insieme a Renzi, potrebbe fare un buon lavoro: «Io penso che Renzi e Vendola», dice, «siano certamente diversi nella proposta, ma competono per lo stesso elettorato accomunato dalla domanda di cambiamento. Non è un caso che dove l’uno domina l’altro annaspa. Prima che a Vendola, Renzi è alternativo alla vecchia linea Pd».
La sala è piena, i renziani plaudono, gli altri hanno stampigliato in volto la loro irritazione soprattutto quando il superprodiano d’un tempo (ma si sarà visto o sentito con Prodi prima del voto alle primarie ?) se la prende col segretario: «L’appello a ’non lasciare la strada vecchia per la nuova’ che Bersani ha affidato al suo slogan – afferma Parisi - dice meglio di ogni discorso dove finiremmo se prevalesse la sua proposta di affidare la guida del Paese ad un accordo tra Bersani e Casini».
E ancora: «É vero che, grazie alla alleanza tra Pd e Udc, Bersani potrebbe diventare domani a Roma quello che Crocetta è oggi a Palermo, e grazie alla frammentazione, e all’astensionismo, addirittura conquistare il governo come oggi in Sicilia col 6,3% degli elettori. Anche su questo bisogna meditare. Una cosa è vincere sul piano formale, un’altra governare col consenso reale».
Poi una stoccata sulle regole, l’argomento che sta infuocando lo scontro tra i due contendenti: «L’intenzione che ha ispirato le regole pensate per chiudere queste primarie- sostiene Parisi- è destinata a produrre i suoi effetti proprio nel secondo turno, impedendo l’afflusso di elettori attratti dalla possibilità di influire sul voto. E’ la chiusura del voto finale che definisce chiuse le primarie, non le aperture su questo o quel punto del primo turno. Spero che l’intelligenza che ha indotto Bersani prima ad accettare la sfida di Renzi chiedendo di modificare lo Statuto, e poi ad allentare le regole previste per il primo turno, gli faccia capire che solo l’apertura del secondo turno definisce aperte le primarie. È inutile aprire tutte le porte se resta chiuso il portone».
Parisi contro Bersani. Perché non rinnova e perché vuole imbarcare Casini (e Gianfranco Fini e Luca di Montezemolo) al governo. Ma se non ci saranno i numeri per governare da soli? Intanto ci si presenta alle elezioni con un partito aperto e radicalmente nuovo in grado da un lato di recuperare i voti grillini e dall’altro di prendere anche i voti moderati e attingere pure dall’astensionismo. A urne chiuse si potrà decidere, se non c’è la maggioranza, su un’eventuale alleanza. Parla Parisi e sembra di sentire parlare Renzi.
Arturo Parisi, 72 anni, ha insegnato a lungo sociologia dei fenomeni politici all’università di Bologna. É stato direttore della rivista Il Mulino, poi la folgorazione per la leadership di Prodi. Nel Pd, dopo le dimissioni del segretario Walter Veltroni si candidò a segretario, con lo scopo di indire in tempi brevi un congresso. Fu sconfitto da Dario Franceschini. Adesso la love story politica con Renzi l’ulivista, per il quale si sta impegnando in una forsennata campagna elettorale perché ritiene sia l’unico in grado di allargare la base elettorale Pd: «Secondo i dati SWG –conclude- un quarto degli astenuti e dei votanti per Grillo, alle recenti elezioni siciliane, proveniva dal Pd, cioè elettori Pd che non hanno più scelto il partito. Li vogliamo recuperare?».