Carlo Bonini; Giuliano Foschini, la Repubblica 30/11/2012, 30 novembre 2012
DALL’ALLARME DIOSSINA ALLA NUOVA ALITALIA QUEGLI OTTO MESI CHE HANNO SALVATO I RIVA
Chi e come ha protetto la famiglia Riva ritardando nel tempo interventi cruciali sull’Ilva? In cambio di cosa? Il Procuratore di Taranto, Franco Sebastio, la mette così: «La nostra indagine non è chiusa. I tempi saranno brevi, ma è necessario fare un approfondimento. Le intercettazioni dell’ordinanza offrono spunti che vanno doverosamente verificati. Perché il quadro di tutti gli attori di questa vicenda sia completo ».
L’accertamento delle responsabilità (non tutte necessariamente penali, ma non per questo irrilevanti) non è dunque chiuso. E parte da un dato pacifico. I Riva hanno una storia di elemosinieri. Finanziano la politica scommettendo sul centro- destra cui sono organici (245mila euro a Forza Italia) ma, nel 2006, investono prudentemente un chip di 98mila euro nella campagna elettorale di Pierluigi Bersani, che diventerà ministro dello Sviluppo Economico del secondo governo Prodi. Sono caritatevoli con la Diocesi e il Comune di Taranto quali benefattori in contanti di chiese e cimiteri. E tuttavia, i Riva sono anche una straordinaria opportunità. Per la politica. Per le banche. Che conoscono la fragilità di quella gallina dalle uova certamente d’oro ma anche avvelenate (2 miliardi e mezzo gli utili dell’Ilva negli ultimi 4 anni). Ce ne è abbastanza per un patto di mutuo soccorso. Che si salda
in un anno cruciale: il 2008.
I RESIDUI NOCIVI
Alla fine di febbraio 2008, i Riva sono nell’angolo. La seconda
ispezione all’Ilva dei tecnici dell’Arpa (la guida quell’Assennato che nelle intercettazioni la famiglia chiede di “fare fuori”, “frantumare”) rileva emissioni di diossina tra gli 8,3 e i 4,4 nanogrammi per metro cubo. Un valore di 11 volte superiore alla soglia massima consentita al mondo. Può essere l’anticamera della chiusura dello stabilimento. Ma i Riva hanno anche un secondo problema. Quello delle discariche dei residui nocivi della lavorazione. Le discariche, interne allo stabilimento, ma gestite dalla Provincia di Taranto, hanno per i Riva un costo irrisorio perché parametrato su valori di dieci anni prima. E le garantisce una fideiussione di 800mila euro della Banca Carige che tuttavia si avvia a scadenza. Anche qui, senza discariche la produzione si ferma. Ma per le discariche bisogna sostenere un costo crescente. E i Riva non rinunciano volentieri a margini di profitto importanti.
“ESPERTO IN STRADE E RIFIUTI”
Il nuovo governo Berlusconi aiuta i Riva a trovare la “quadra” con un’Aia, quella del 2011, che, sappiamo ora dalle intercettazioni, i Riva ritagliano sul proprio conto economico come un abito di sartoria. Ma c’è di più. Nel 2008, il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, che ha quale suo direttore generale l’attuale ministro Corrado Clini, sostituisce l’intera commissione ministeriale che deve mettere a punto quell’Aia, affidandone la presidenza a un ingegnere allora 32enne di Siracusa, ricercatore presso l’università privata “Kore” di Enna che vanta nel suo curriculum due soli lavori di ricerca: “Le potenzialità del ravaneto nella tecnica delle costruzioni stradali” e “La gestione dei rifiuti solidi urbani in Sicilia”. Si chiama Dario Ticali. Alla sua scienza dovrebbe essere affidato il destino dell’Ilva. Ma al telefono, Luigi Pelaggi, allora capo dipartimento del ministero, ne parla con i Riva come di uno a cui deve solo essere detto cosa scrivere nell’Aia. Accadrà anche che la Prestigiacomo decida nell’estate 2010 di posticipare alla fine del 2014 il rispetto per l’Ilva dei limiti di emissione delle benzoapirene. E il perché resta un mistero che neppure Clini è in grado oggi di spiegare (Al
Fatto
l’estate scorsa, dice: «Non lo so. Spero la decisione sia nata da una seria struttura tecnica di ragionamento »).
PASSERA, INTESA, ALITALIA
È un fatto che, con assoluta coincidenza temporale, nel novembre 2008, mentre la Prestigiacomo rimodella uomini e tempi che porteranno all’Aia in oltre 3 anni, Riva entri nella cordata della nuova Alitalia, di cui Banca Intesa e il suo ad di allora,
Corrado Passera, sono insieme azionisti e
advisor.
Dovrebbe acquisire l’8 per cento. Ma la quota lievita generosamente al 10,2. Fanno 120 milioni di euro. Per giunta, in quelle stesse settimane, la stessa Intesa aprirà ai Riva una linea di credito di 80 milioni di euro per l’allestimento di due navi container per trasporto di minerali.
IL NODO DELLE DISCARICHE
Non è finita. Con Passera ormai ministro, i Riva non cessano di spendere il nome di Intesa, e con lei quel che evoca il nome del suo ex ad, come la propria banca e come stimmate di potere utile ad ammansire interlocutori di provincia. Questa volta, a loro dire, la banca è pronta a risolvere il nodo delle discariche ormai venuto al pettine. Alla fine del 2011, la Provincia di Taranto si accorge infatti che le fideiussioni di Carige sono ampiamente scadute e, sulla base dell’Aia e della legge regionale del 2010, ne ricalcola il valore in una cifra che oscilla tra i 300 e i 400 milioni di euro. I Riva provano inutilmente a sostenere che possono pagare solo il 30 per cento di quel valore (perché quella sarebbe la loro percentuale di utilizzo della discarica) e indicano come garante una società di assicurazioni priva dei requisiti. Quindi, indicano Intesa. Che tuttavia — come dicono a
Repubblica
fonti della banca e della Provincia — non risulta aver firmato alcun pezzo di carta. Né essere impegnata a nome dei Riva in nessuna negoziazione. La domanda dunque è: quale potere di ricatto politico hanno continuato a esercitare o possono ancora esercitare i Riva?