Stefania Rossini, l’Espresso 30/11/2012, 30 novembre 2012
PADRE E FIGLIO POLIZIOTTI
Cara Rossini, è la prima volta che scrivo a un giornale e forse per lei è la prima volta che le scrive un poliziotto, anzi un ex poliziotto, perché sono in pensione da qualche anno. Ma la mia parte l’ho fatta in quei terribili anni Settanta che ci vedevano per strada quasi ogni giorno a fronteggiare gruppi via via sempre più violenti e qualche volta anche muniti di armi da fuoco. Non sono mai stato aggressivo, ma spesso mi sono difeso, oppure ho attaccato su ordine dei superiori con la necessaria determinazione. Ho fatto il mio dovere e non me ne pento. Però in questi giorni, seduto in poltrona davanti alla tv, guardo le nuove manifestazioni con molta preoccupazione. Non perché i giovani di oggi siano più violenti di quelli di allora (ancora no) ma perché in piazza oggi c’è mio fglio, anche lui in polizia. Io temo per lui perché la differenza con quarant’anni fa è grande. Allora io mi sentivo dalla parte della ragione. Ero un agente a basso stipendio e avevo di fronte fgli di papà che giocavano alla rivoluzione. Respingerli era un dovere e, lo ammetto, qualche volta anche un piacere. Caricavo e pensavo: “Tornate nelle vostre belle case, ragazzini, che io qui mi guadagno il pane”. Invece oggi la situazione è capovolta. Mio fglio è laureato in Giurisprudenza, sta facendo la carriera da commissario e quindi non teme per il suo futuro. Di fronte ha disoccupati, licenziati, esodati e studenti senza nessuna prospettiva di costruirsi una vita decente. La loro rabbia è più vera, somiglia di più alla mia di tanti anni fa. Mio fglio lo sa, eppure deve decidere come gestire quella rabbia. Lo fa con coscienza ma è pieno di dubbi e io, che non capisco più niente, ho paura per lui.
Salvatore R.
Grazie di questa bella lettera, signor Salvatore, soprattutto per l’angolazione da cui ci fa vedere il grande mutamento che ha subito il nostro Paese. lei, poliziotto di ieri, aveva il compito duro ma semplice di controllare che l’ordine delle cose rimanesse lo stesso: di là i rivoltosi con studenti ma anche (non dimentichiamolo) operai che lottavano per migliorare la loro condizione, di qua il suo dovere, semplificato dalla divisa. Suo figlio, poliziotto di oggi, che ha fatto il salto sociale grazie ai sacrifici del padre, vive invece la confusione dei ruoli e delle classi, con tutto il peso della grave situazione presente. Chissà cosa scriverebbe oggi Pasolini che lasciò in calce al Sessantotto il suo elogio del poliziotto proletario! forse qualcosa che somiglia a questi suoi pensieri.