Morya Longo, ilSole24Ore 30/11/2012, 30 novembre 2012
LO STATO RISPARMIA IL 3%, LE IMPRESE SOLO 20 CENTESIMI
Il ministero dell’Economia ha emesso ieri BTp decennali pagando i tassi d’interesse più bassi degli ultimi 2 anni. Dai massimi toccati nell’asta del novembre 2011, lo Stato ha ridotto il costo del debito decennale di 3,11 punti percentuali. Purtroppo, però, altrettanta fortuna non è toccata alle imprese della Penisola: dal novembre 2011 al settembre 2012 (ultimo dato Bce) le aziende italiane hanno infatti beneficiato solo di una minima limatura nel costo dei finanziamenti bancari: dal 5,85% al 5,63%. Appena venti centesimi in meno, contro gli oltre 3 punti di risparmio per lo Stato.
Analogo discorso si può fare sulla quantità di credito. Lo Stato si sta finanziando agevolmente (per fortuna), mentre le aziende vedono gli affidamenti rinsecchirsi come le foglie in autunno: in un anno (da settembre 2011 a settembre 2012) l’industria made in Italy ha perso 38 miliardi di euro di credito. Nel solo mese di settembre, rispetto ad agosto, il totale credito si è ridotto di quasi 6 miliardi. E la contrazione ha riguardato soprattutto i settori che più andrebbero sostenuti: le attività manifatturiere (-1,87% in soli 30 giorni) e quelle professionali (-5,9%).
Così il Paese muore. L’industria rischia di diventare la foglia secca dell’Italia. E l’Italia la foglia secca dell’Europa. Per un anno abbiamo sperato che bastasse far scendere lo spread tra BTp e Bund per far ripartire il credito, ma ormai è chiaro che si trattava di una pia illusione. Serve altro: bisogna rimuovere le cause più profonde di questa impasse.
La prima riguarda il sistema bancario. Le banche erogano sempre meno finanziamenti per vari motivi. Uno dei principali è l’accumulo di crediti deteriorati in bilancio. Si tratta di una zavorra di 117 miliardi. Se le banche svalutassero in bilancio questi crediti con l’adeguata incisività, incasserebbero una perdita complessiva di 23 miliardi di euro (stima di AlixPartners). Per questo li svalutano sempre meno: per evitare bilanci in profondo rosso. Eppure, così facendo, si tirano la zappa sui piedi: sopravvalutando in bilancio i crediti deteriorati, non trovano nessun investitore (ne esistono molti) disposti a comprarli. Questo impedisce alle banche di smaltire le sofferenze. E le costringe a erogare sempre meno credito. Ecco perché tanti sono convinti che serva una soluzione di «sistema»: forse basterebbe una legge che, come accadde nel 1999, permetta alle banche di svalutare i crediti deteriorati spalmando le perdite in 5 o più bilanci.
Questo forse aiuterebbe a riaprire il rubinetto del credito bancario. Ma per dare una vera mano alle imprese serve anche altro: sviluppare il mercato finanziario italiano. Un passo avanti è stato fatto col decreto Sviluppo, ma non basta. In Italia esistono 800 miliardi di ricchezza non bancaria (in mano ad assicurazioni, fondi pensione e altri investitori): solo una piccola parte di questo tesoro è però investita su azioni o titoli di debito di imprese italiane. Se esistessero gli strumenti adeguati, come ne esistono all’estero, si potrebbe convogliare una quota maggiore di questa ricchezza non bancaria sulle imprese. Negli Usa, per esempio, esistono i credit funds: fondi che invece di investire in azioni o bond erogano credito alle medie imprese. Questi permetterebbero di far arrivare alle aziende crediti non bancari. Oppure esistono altri strumenti all’estero con gli stessi obiettivi. Basta copiarli. Tutti insieme: banche, Stato, Autorità.