Emanuele Coen, l’Espresso 30/11/2012, 30 novembre 2012
LA PENTOLA DI LINUS
[Colloquio Con Marino Niola]
Con le armi dell’antropologo, Marino Niola
nel libro "Non tutto fa brodo" (edito da Il Mulino) scandaglia passioni, emozioni ed eccessi che attraversano il mondo del cibo. Dalla scoperta
del fuoco ai celebrity chef.
Professor Niola, gli chef sono diventati i nuovi guru. È solo una moda?
«Lo chef oggi è una figura multitasking, un po’ popstar un po’ stilista, maître-à-penser, maestro
di vita e sacerdote della religione del corpo. La spia di tutto questo, in Italia, è il passaggio dalla parola cuoco a chef. Nel significato originario lo chef è
il capo della brigata di cucina e viene consacrato nell’età barocca, con la nascita della gastronomia dell’Europa moderna, quando assume un ruolo politico, come dimostra la vicenda di François Vatel: dall’esito di un banchetto può dipendere la sorte delle nazioni. Da noi invece il cuoco ha sempre fatto parte dell’universo dei servi. Lo slittamento semantico rispecchia la nuova funzione».
Perché la cucina è diventata così importante?
«Siamo circondati da mille paure e ogni giorno abbiamo bisogno di un nuovo gancio a cui appenderle: la mucca pazza, la Sars, gli Ogm,
i pesticidi, e così via. La cucina è il succedaneo consolatorio del controllo sulla realtà, diventata troppo complessa. Concentrandoci sul cibo, su ciò che ingeriamo, ci illudiamo di controllare ciò che sta fuori di noi, di difenderci dai pericoli esterni. Diventa un modellino consolatorio, come la coperta di Linus».
Alcuni chef giocano sul ritorno all’infanzia,
oppure vagheggiano il passato, l’età dell’oro
in cui tutto era buono...
«Il mito del "come una volta" è una forma di nostalgia regressiva, che nel caso del cibo non
ha senso: i nostri nonni mangiavano infinitamente peggio di noi. Quello di oggi è solo agriturismo dello spirito. I contadini sono quelli de "L’albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi, morivano di pellagra, producevano i buoni affettati solo per il padrone».
La gastronomia flirta anche con l’erotismo.
Come dimostra la food writer Nigella Lawson.
«Lei è un sex symbol iperbolico, ogni cosa che assaggia è un’allusione erotica. Tuttavia nel cibo
il simbolismo sessuale c’è sempre stato: in alcune lingue, le parole del cibo e quelle del sesso sono uguali. In spagnolo, ad esempio, copulare si dice "comer", come mangiare.
E nel nostro lessico consumare si riferisce sia
al cibo sia al sesso, perché entrambi hanno a che fare con la riproduzione. È la declinazione nuova di un fenomeno antico: rilucente, glamour
e narcisistico come la faccia di Nigella, che
si alimenta del proprio mito».