Marco Franchi, il Fatto Quotidiano 29/11/2012, 29 novembre 2012
IL MONTE PASCHI NAZIONALIZZATO AL RALLENTATORE
[Prestito di 3,9 miliardi dal tesoro alla banca, possono diventare azioni] –
Dalle trifore di Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Mps, si vede a Piazza del Campo. Una visuale perfetta per assistere al Palio di Siena. Perché non approfittarne per vendere i biglietti a vip e contradaioli? C’è chi arriva a pagare 400 - 500 euro pur di godersi lo spettacolo paliesco dall’alto. Potrebbe rivelarsi un affare per l’ente senese che nei prossimi mesi rischia di ritrovarsi in bolletta, orfano del bancomat di riferimento: il Monte dei Paschi. Ieri, infatti, l’istituto di Rocca Salimbeni è stato costretto ad aumentare la richiesta di Monti bond da 3,4 a 3,9 miliardi di euro (cui 1,9 da usare per rimborsare i vecchi Tremonti bond). Ovvero ad allargare il paracadute pubblico, al massimo consentito, che eviterà il tracollo finanziario ma aprirà anche le porte del capitale a una ingombrante, se pur temporanea, presenza dello Stato. La Borsa, sentendo aria di nazionalizzazione, ha punito il titolo Montepaschi: -2,4 per cento.
LA DECISIONE di “rilanciare” è stata presa dal cda di Mps per fare fronte a problemi di redditività del suo portafoglio finanziario strutturato. La nota della banca spiega che il provvedimento è “motivato dai possibili impatti patrimoniali derivanti dagli esiti dell’analisi in corso di talune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti”. La banca aggiunge poi che, “vista la redditività negativa di tali operazioni, oggi incluse nel portafoglio di attività finanziarie aventi per sottostante titoli di Stato, procederà alla rinegoziazione della struttura di funding delle stesse con l’obiettivo di migliorarne la redditività”. I nuovi vertici, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, avrebbero deciso di smontare il portafoglio di swap (strumenti derivati) sui titoli di Stato su cui ha oggi una perdita potenziale rilevante, per abbassare il costo di finanziamento che oggi serve a sostenere quello stesso portafoglio. Secondo alcuni analisti la rinegoziazione dei contratti a copertura dei Btp potrebbe determinerà una perdita di 500 milioni entro fine anno. Meglio prevenire e appellarsi alla generosità di Monti. Che in cambio, però, diventerà un azionista importante detronizzando la Fondazione e spezzando il legame simbiotico fra ente e banca.
I cosiddetti Monti bond sono titoli speciali emessi da Mps a favore del Tesoro per coprire il deficit di capitale (3,3 miliardi) calcolato dall’Autorità Bancaria Europea. Aumentandone la richiesta, aumentano anche gli interessi che la banca dovrà pagare allo Stato. Se Mps non ha i soldi per saldare il conto, come sarà sul bilancio 2012, dovrà emettere probabilmente azioni riservate allo Stato per l’ammontare degli interessi da corrispondere. Ma a che prezzo? E qui entrano in campo le trattative fra il ministero dell’Economia e la Commissione Europea che deve ancora dare il suo via libera all’intera operazione. Il Tesoro vuole che le azioni vengano emesse in base al patrimonio netto (0,86 euro sulla base della terza trimestrale 2012), mentre i tecnici di Bruxelles pretendono che vengano emesse ai prezzi di mercato (il titolo viaggia attorno ai 19 euro) per non trasformare i bond in un aiuto di Stato. Ovvero in un pericoloso precedente per altre banche dell’Unione che potrebbero ritrovarsi nelle stesse condizioni dell’istituto senese e dunque presentarsi alla porta dei governi con il cappello in mano. ’’Sono in contatto con le autorità italiane, il componenti della mia direzione generale hanno incontrato i rappresentanti’’ della banca e delle autorità nazionali, ma ’’la situazione è da studiare’’, ha spiegato ieri il Commissario europeo per la concorrenza, Joaquin Almunia. Se il capitale sale a 3,9 miliardi e l’interesse fosse del 10% stimato finora, in caso di perdita nel 2013 la quota da riservare al Tesoro salirebbe ben sopra il 15% diluendo su tutti la Fondazione oggi ancorata al 33 per cento. Meno azioni per l’ente significa meno dividendi a fine anno incassati dalla banca, e dunque meno risorse da distribuire al territorio.