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 2012  novembre 29 Giovedì calendario

ARGENTINA VICINA AL DEFAULT COSA ACCADE AI TANGO BOND

[Ficht declassa ancora Buenos Aires: speranze per i 55mila italiani che non avevano aderito ai due concambi, rischi per chi ha i nuovi titoli] –
Argentina crac due, la vendetta. A 11 anni dal primo botto, per lo stato sudamericano torna lo spettro del fallimento. Una prospettiva tremenda per il popolo argentino che, peraltro, potrebbe riaprire una ferita profonda per i risparmiatori italiani (e non solo). Con il rischio di una clamorosa beffa: chi ha aderito alle operazioni di concambio proposte dal governo di Buenos Aires nel 2005 e nel 2010 potrebbe avere in mano carta straccia. Al contrario, i circa 55 mila italiani che hanno rifiutato i due swap capestro ora si trovano con i vecchi titoli che sui mercati secondari hanno raggiunto le quotazioni delle nuove emissioni.
Un incredibile testacoda. A sparigliare il tavolo ha contribuito la botta dell’agenzia di rating Fitch: il debito argentino, nella serata di martedì, è stato declassato a spazzatura, livello bassissimo che gli addetti ai lavori considerano come «default tecnico», l’anticamera del fallimento vero e proprio.
La stangata di Fitch segue la mossa del Governo argentino che ha chiesto alla Corte d’Appello di New York di rivedere la misura con la quale il giudice distrettuale Thomas Griesa ha disposto che Buenos Aires, effettui, entro il 15 dicembre prossimo, un deposito di garanzia per 1,3 miliardi di dollari, pretesi da fondi speculativi Usa in possesso delle obbligazioni già in default dal 2001. Il passo punta a far sì che Buenos Aires possa far fronte, lo stesso 15 dicembre, ai pagamenti per 3,3 miliardi di dollari delle cedole dei bond in possesso degli obbligazionisti, che hanno accettato i concambi del 2005 e del 2010. L’Argentina si è opposta e Fitch ha azionato la scure.
Un pasticcio enorme. Ma non è finita. Che succede, adesso, ai risparmiatori italiani? Piccolo resoconto: il crac del 2001 coinvolse circa 450 mila italiani, dei quali 330 mila in possesso di titoli pubblici mentre il resto erano sottoscrittori di bond societari. Di quei 330 mila (che avevano in mano titoli per 12 miliardi di dollari), la maggior parte - grosso modo 265 mila risparmiatori - ha aderito alle operazioni di concambio varate nel 2005 e nel 2010 dal Governo di Buenos Aires. C’è poi una quota di 55 mila “irriducibili” che ha dato fiducia all’infaticabile azione promossa dalla Tfa (Task force argentina) guidata da Nicola Stock. Un esercito di investitori che, dopo aver rifiutato gli swap, ha accettato di fare ricorso allo Stato argentino portandolo davanti al tribunale arbitrale della Banca mondiale (Icsid).
Gli “irriducibili” hanno in mano titoli che valgono, sulla carta, 1,3 miliardi di dollari. Titoli sui quali scommettono i fondi speculativi. Da martedì sera, infatti, le quotazioni sono schizzate da 18 centesimi su 100 fino a 30, raggiungendo il prezzo dei nuovi bond, ora ritenuti ad alto rischio di rimborso. Ciò perché i vecchi titoli - proprio per il ricorso pendente all’Icsid, che si basa su trattati internazionali bilaterali - ora sono più al sicuro dei nuovi, almeno stando alle valutazioni del mercato.
Per i 55 mila legati alla Tfa si aprono tre scenari: vendere a un prezzo non troppo basso (anche se rinuncerebbero a una fetta del capitale e a tutti gli interessi maturati), continuare con il ricorso Icsid o aspettare una non improbabile riapertura del concambio. Prospettiva thrilling, invece, per chi aveva detto «sì» agli swap e non ha successivamente venduto sui listini secondari i nuovi titoli.