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 2012  novembre 29 Giovedì calendario

LE NOZZE IN CHIESA RESISTONO SOLO AL SUD


A Mèlito Porto Salvo, punta più estrema della Calabria, ho accompagnato ieri un mio giovane amico da un orefice. Voleva acquistare un braccialettino, una catenella, un chenesò (furono orecchini, alla fine) per una ragazza che festeggerà a breve i suoi primi diciott’anni. Si usa così da queste parti. È la tradizione. E se si usa così per una festa dei diciott’anni, figuratevi per un matrimonio. Il regalo, naturalmente. E per un matrimonio partono da 80 a 150 euro a cranio, dipende dalla sciccheria del menù. Vi presenterete con moglie e 2 figli? Moltiplicate per 4. E buon divertimento.
Ma prima, ecco la cerimonia con tutte le cose al loro posto. La Chiesa, intanto, che al Sud è ancora un punto passabilmente fermo. Coi fiori, il parroco commosso, musica, cameraman (il filmino va per la maggiore), i genitori degli sposi in grande spolvero, e a seguire tutti gli altri. Con gli uomini perversamente incravattati (certe bestemmie!) anche se il rito si celebra a luglio o ad agosto con 36 gradiall’ombra. Seguirà il banchetto (una volta 600 invitati erano un dato medio; ora siamo attestati sui 3/400). Quattro ore a tavola, infine, per scalare un menù manicomiale, omicida, capace di atterrare un bisonte. Così vuole la tradizione. E almeno questa (il resto essendo stato sbranato con tutta la coda dalla televisione e dalla pubblicità che ha stravolto e omologato usi, costumi e consumi) resiste impavida. Lo dice l’Istat, rivelando che al Sud sono solo il 23 per cento (contro il 52 per cento del Nord, dato record) i matrimoni civili. Ci si sposa di meno, conferma l’Istat. E se proprio si deve, si va sempre di più dal sindaco. Sorprende, ma mica tanto, in fondo, il dato del Nord, dove la quota di matrimoni civili ha superato quelli religiosi. Diminuiscono anche i matrimoni misti (9.333 in meno,l’anno scorso,rispetto al 2008, il 29,2 per cento, addirittura) perché il fenomeno dell’immigrazione si è notevolmente ridotto. Non è merito della Bossi-Fini. È che non siamo più appetibili, come Paese, se non come stazione di posta lungo la via per le Fiandre, la Germania, il Baltico, più a nord che si può.
È il matrimonio come idea, come progetto, che è ormai in crisi nera. Anche se il dato medio nazionale (il 52 per cento del nord e il 23 del Sud, passando per un 47 per cento del Centro Italia) nasconde profonde differenze territoriali. Vince la fascia tricolore del sindaco, rispetto alla stola del prevosto, in certe province del Nord: Livorno e Trieste ((62,5%), Massa-Carrara (56,5%), Bolzano (56%), seguite da Genova e Ferrara (55,7%), Grosseto (55,3%) e Udine (55,1%). Eppure solo 15 anni fa i matrimoni civili erano solo il 20 per cento delle unioni ufficiali.
«Gli italiani stanno cambiando, non si crede più al matrimonio come unica strada per formare una famiglia, e si convive, con la speranza che prima o poi le coppie di fatto possano avere il dovuto riconoscimento», ragiona Gian Ettore Gassani, presidente degli avvocati matrimonialisti. È la prudenza, il calcolo, tutta roba che non ha niente a che fare col sentimento, a deprimere le fantasie dei potenziali nubendi. Ora,all’effetto schiuma frenata, concorre anche lo spettro dell’impoverimento: la separazione, il divorzio, gli alimenti al coniuge: un incubo sempre più ricorrente.