VARIE 29/11/2012, 29 novembre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SUL CASO ILVA
REPUBBLICA.IT
ROMA - "Ieri abbiamo sentito in maniera quasi carnale il dolore della città di Taranto". Con queste parole, il premier Mario Monti, ha aperto l’incontro tra i ministri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente, del Lavoro e della Salute, i sindacati, gli amministratori locali, i rappresentanti dell’Ilva e il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido per discutere del contenuto del decreto che consentirà la riapertura dell’impianto siderurgico pugliese e la conseguente ripresa dell’attività. "Non possiamo permetterci di dare un’immagine dell’Italia dove non sia possibile conciliare la tutela dell’occupazione e il rispetto della magistratura, la tutela dell’ambiente e la produzione dell’acciaio", ha detto il presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Per questo ha voluto sentire "tutti i punti di vista e le valutazioni" anche se "non abbiamo ancora nessuna bozza di provvedimento". La Sala Verde dove è in corso il vertice è affollatissima: 120 persone, compresa la delegazione del Governo.
"Il governo - ha detto Monti - sta vivendo la questione come un momento di vera prova per il nostro Paese". La stessa cosa è stata sottolineata anche dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: "Sul caso dell’Ilva di Taranto l’Italia si gioca il futuro industriale e manifatturiero". Riteniamo prioritari gli interventi di valorizzazione dell’economia del territorio nel Protocollo d’intesa del luglio scorso", ha detto Squinzi. "Partendo dalla progettualità esistente, stiamo lavorando - ha spiegato il leader degli industriali - alla individuazione di azioni concrete nel campo della ricerca, della promozione d’impresa, dei beni culturali, della logistica, del recupero urbano, capaci di dare un forte impulso all’economia del territorio tarantino".
Ma per il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante "i provvedimenti della magistratura stano provocando gravi ripercussioni sull’occupazione, ma il quadro rischia di peggiorare. Anche Genova avrà problemi ed è destinata alla chiusura". Per Ferrante "il 6 dicembre è la data limite per il dissequestro dell’impianto". Anche per il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, "l’urgenza è diventata stringente perchè sta per bloccarsi un’intera filiera".
Arrivati a Roma gli operai dell’Ilva si scagliano contro tutta la classe politica. Sono circa 300 e sono arrivati da Genova, Taranto, Novi Ligure, Racconigi, a urlare slogan contro una "classe politica di ladri", che "non da risposte" e che "sa solo rubare". "Siete voi la rovina dell’Italia - dicono i manifestanti rivolti ai politici - siamo qui per il nostro lavoro e per il nostro futuro, che voi ci state rubando". I manifestanti hanno intonato cori contro Monti, il ministro Fornero e i Riva, proprietari della fabbrica di Taranto.
Il decreto, che domani sarà in Consiglio dei ministri, si pone l’obiettivo di bilanciare due istanze contrapposte che lo stesso ministro Clini sintetizza nel "tenere assieme la protezione della salute degli abitanti di Taranto e la difesa di migliaia di posti di lavoro senza i quali il quadro sociale può diventare drammatico". Per 24 mesi a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, l’Autorizzazione Integrata ambientale - già rilasciata il 26 ottobre all’Ilva - di fatto già autorizza la fabbrica alla prosecuzione dell’attività.
"Si faccia subito questo decreto per dare piena esigibilità all’Aia. Chiediamo un commissario super partes che sappia far dialogare le istituzioni in conflitto", ha detto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni al tavolo sull’Ilva. "Una personalità autorevole che garantisca - ha aggiunto - il rispetto di questa soluzione equilibrata". Quella dell’Ilva "è un’emergenza straordinaria e straordinaria deve essere la nostra azione perchè anche la tutela dell’ambiente e della salute della comunità di Taranto non possono essere messe in discussione", ha concluso. E anche il leader della Uil, Luigi Angeletti, ha sottolineato che quella dell’Ilva "sta per diventare una tragedia dal punto di vista occupazionale ed economico ma anche perchè si rischia di distruggere la credibilità del Paese".
Secondo il ministro Clini "non è un decreto salva-Ilva. Vogliamo creare le condizioni per cui le prescrizioni ambientali e a tutela della salute contenute nell’Autorizzazione integrata ambientale e il piano di interventi presentato dall’Ilva da noi approvato vengano attuati", ha dichiarato. Il ministro ha anche sottolineato come spetti all’azienda effettuare gli investimenti necessari per il risanamento del territorio: "L’Autorizzazione integrata ambientale prevede un programma di interventi che dovrebbe durare poco più di due anni che comporterà investimenti da parte dell’azienda di circa 3 miliardi di euro e che alla fine consentirà di avere a Taranto un’industria pulita e tecnologicamente avanzata".
Disaccordo con i magistrati. Con il sequestro dell’area a freddo dell’Ilva, ha proseguito il ministro Clini, "la magistratura di fatto ha creato le condizioni per la chiusura degli impianti, ovvero le condizioni per rendere impossibile il piano di risanamento ordinato dal governo. Quello che ci aspettavamo che avvenisse da lunedì - continua Clini - era l’avvio degli interventi da parte dell’azienda, e invece c’è stato il sequestro dell’area a freddo". Il sequestro dell’area a freddo, però, conclude il ministro, "ha provocato quello che abbiamo visto". Clini ha poi sottolineato che il governo vuole che "il risanamento parta subito e sia rapido" e che "in 24 mesi gli impianti a caldo vengano risanati" per "garantire la produttività e la tutela della salute e dell’ambiente".
L’ultima bozza del decreto in fase di stesura a Palazzo Chigi prevederebbe tra l’altro, la vigilianza di un garante sull’attuazione del decreto, assistito da un comitato di lavoratori dello stabilimento e la perdita di efficacia di tutti i provvedimenti di sequestro incompatibili con l’Autorizzazione integrata ambientale.
"Se il decreto del governo è per salvare l’Ilva esautorando la magistratura, penso che sia sbagliato" ha dichiarato Nichi Vendola, leader di Sel. In sostanza, se le ragioni del sequestro da parte della procura di Taranto dovessero essere aggirate privilegiando l’importanza strategica degli impianti a scapito della salute dei tarantini "si proporrebbe nei fatti un conflitto tra poteri dello Stato" ha concluso Vendola. Secondo indiscrezioni, quando arriverà la richiesta di dissequestro da parte del governo, la Procura di Taranto potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale.
L’osservatorio sulla salute. Durante i lavori a Palazzo Chigi, il ministro della Salute Renato Balduzzi ha riferito che a giorni dovrebbe iniziare la realizzazione dell’osservatorio sulla salute a Taranto, prestando particolare attenzione ai rischi che corrono bambini e donne incinte.
A Taranto non avranno luogo manifestazioni degli operai. Dopo la tromba d’aria di ieri che ha causato gravi danni agli impianti, proseguiranno oggi le ricerche dell’operaio disperso.
(29 novembre 2012)
"Farei un sequestro conservativo, ridurrei la capacità produttiva e aggiornerei l’impianto. Poi direi ai Riva: prendi l’impianto e paga o altrimenti lo vendo". E’ quanto ha affermato l’imprenditore Carlo De Benedetti intervenendo in un dibattito organizzato da MicroMega sui temi di attualità collegati all’Ilva di Taranto. "Magari dico banalità ma la responsabilità di costruire quell’impianto è stata dello Stato, con l’Italsider - ha detto De Benedetti - poi Riva è stato abilissimo a comprarlo e a farci i soldi"
CORRIERE.IT (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO, CESARE BECHIS)
TARANTO - Dal via libera al decreto legge sull’Ilva, i provvedimenti di sequestro incompatibili con l’attuazione dell’Aia «perdono efficacia». Lo prevede l’ultima bozza del Dl, in corso d’esame a Palazzo Chigi prima dell’incontro con le parti sociali, l’azienda e gli enti locali di oggi. Nell’ultima bozza del decreto legge sull’Ilva viene ribadito che l’Aia fa parte integrante del decreto legge, provvedimento con cui viene autorizzata la prosecuzione dell’attività produttiva e commerciale per il periodo di validità dell’Aia stessa, salvo inosservanze all’autorizzazione integrata ambientale. La gestione e la responsabilità degli impianti resta in capo all’Ilva. Per vigilare sull’attuazione del decreto legge sull’Ilva sarà nominato un garante che si avvarrà dell’Ispra e sentirà un comitato dei lavoratori dello stabilimento di Taranto, in cui sono rappresentate tutte le aree produttive. Lo prevede, a quanto si apprende, l’ultima bozza del Dl in questo momento all’esame a Palazzo Chigi.
MONTI - «Il prossimo passo urgente è un atto del governo e lo strumento giuridico sarà il decreto legge. I tempi sono brevissimi, domani, finalizzeremo l’elaborazione in consiglio dei ministri». Lo ha detto il premier, Mario Monti, al tavolo sull’Ilva.
FERRANTE - «I provvedimenti della magistratura stano provocando gravi ripercussioni sull’occupazione, ma il quadro rischia di peggiorare. Anche Genova avrà problemi ed è destinata alla chiusura». Lo ha detto il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante al tavolo a palazzo Chigi.
IL VERTICE - A Roma è in corso il vertice l’incontro a Palazzo Chigi tra il governo, le parti sociali e gli amministratori locali e l’azienda sul caso Ilva. Sono presenti il premier Mario Monti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà ed i ministri dello Sviluppo economico Corrado Passera, dell’Ambiente Corrado Clini, del Lavoro Elsa Fornero, i sottosegretari allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti e al Lavoro Michel Martone. Partecipa il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante. Per la regione Puglia il presidente Nichi Vendola, insieme al sindaco di Taranto Ippazio Stefano. Per le parti sociali, sono presenti il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ed i segretari generali della Cgil Susanna Camusso, della Cisl Raffaele Bonanni e della Uil Luigi Angeletti; il segretario confederale dell’Ugl Paolo Varesi. Con loro i segretari generali dei sindacati metalmeccanici, Maurizio Landini (Fiom-Cgil), Giuseppe Farina (Fim-Cisl) e Rocco Palombella (Uilm). Alla riunione sono presenti anche i ministri della Salute Renato Balduzzi e della Coesione territoriale Fabrizio Barca. Prende parte al tavolo anche il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido. In totale, viene riferito, sono circa 120 le persone presenti in una «affollatissima» - viene definita - sala Verde di Palazzo Chigi.
L’AIA - L’autorizzazione integrata ambientale (Aia) è il provvedimento, rilasciato dal ministero dell’Ambiente, che autorizza l’esercizio di un impianto industriale a determinate condizioni. Contiene prescrizioni strutturali e limiti di emissione che l’azienda deve rispettare nella sua attività produttiva. L’impianto siderurgico di Taranto dell’Ilva agiva secondo le indicazioni dell’Aia ottenuta il 4 agosto 2011 con il ministro Stefania Prestigiacomo. Le perizie chimiche ed epidemiologica, presentate otto mesi fa dai pm durante l’incidente probatorio relativo all’inchiesta per disastro ambientale in cui sono chiamati in causa i vertici della società, hanno indotto il ministero a riaprire la procedura. Alla luce delle risultanze delle due perizie, della legge regionale sulla valutazione del danno sanitario, dei vincoli posti dal gip, era necessario un riesame dell’autorizzazione che la aggiornasse rendendola più vincolante. La nuova Aia, dopo una istruttoria durata quaranta giorni, è stata rilasciata ad Ilva il 26 ottobre scorso. E’, però, un’Aia-stralcio perché regolamenta soltanto il settore “Aria”, cioè le emissioni in atmosfera degli impianti dell’ area a caldo posti sotto sequestro dai magistrati tarantini il 25 luglio scorso. Prescrive, tra le altre cose, lo spegnimento dell’altoforno 1 da subito, dell’altoforno 5 dal luglio del 2014, interventi su Afo 2 e 4, la copertura dei parchi minerali, la chiusura di settanta chilometri di nastri trasportatori e degli edifici industriali, la fermata di una serie di batterie, nuovi sistemi di scarico dei materiali dalle navi per eliminare completamente la dispersione di polveri, e altre misure che mirano ad azzerare qualsivoglia tipo di emissione dannosa alla salute e all’ambiente. Il gruppo istruttore s’è già rimesso al lavoro per completare l’autorizzazione entro il 31 gennaio 2013 indicando le prescrizioni per discariche, rifiuti e settore Acque.
Cesare Bechis
Tutelare occupazione e ambiente. È l’impegno assunto da Mario Monti in apertura del vertice sull’Ilva a Palazzo Chigi. «Il governo - ha voluto rassicurare il premier - non ha alcuna intenzione di entrare in contrasto con la magistratura e farà attenzione alle indicazioni dei magistrati». Alle sollecitazioni dei sindacati che hanno chiesto una maggiore assunzione di responsabilità per quella che viene definita «una tragedia economica e occupazionale che mette a rischio anche la credibilità del paese», Monti ha replicato assicurando che il decreto legge sarà venerdì, tra meno di 24 ore, all’esame del Consiglio dei ministri .
IL VERTICE - Alla riunione partecipano anche iministro dell’Economia Vittorio Grilli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà , il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, quello dello Sviluppo Economico Corrado Passera, il ministro del Lavoro Elsa Fornero e il responsabile della Salute Renato Balduzzi. Presenti anche il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola con il sindaco di Taranto e il presidente dell’omonima provincia, oltre ai rappresentanti sindacali.
LA PIAZZA - Fuori da Palazzo Chigi si è svolta la protesta di alcune centinaia di lavoratori dello stabilimento tarantino, bloccati dalle forze dell’ordine in via del Corso.«Politici siete solo dei parassiti» hanno urlato gli operai. A Genova, invece, un centinaio di lavoratori del locale impianto Ilva ha nuovamente bloccato il centro
RICERCHE DELL’OPERAIO
TARANTO - Sono state sospese, per le pessime condizioni del mare, le ricerche del gruista 29enne Francesco Zaccaria, operaio Ilva disperso da ieri mattina, quando era al lavoro nell’area portuale ed è stato travolto dal tornado abbattutosi sull’Ilva e su piccoli comuni limitrofi. I sommozzatori al lavoro sino a poco fa non hanno neanche potuto guardare se il suo corpo sia nella cabina della gru individuata in fondo al mare nelle ultime ore perché i cinque metri di melma che sono sui fondali del porto non consentono un minimo di visibilità. Per ora è previsto che la cabina della gru sia tirata su: ma non è stato ancora stabilito quando questo sarà fatto. D’altro canto non è certo che il corpo del giovane si trovi nella cabina: sia perché potrebbe essere stato sbalzato fuori dalla violenza della tromba d’aria sia perché se, come riferito da un collega, Zaccaria era all’esterno della gru al momento del passaggio del tornado, il giovane potrebbe essere stato trascinato ovunque, anche ad alcune decine di chilometri di distanza
IL RITROVAMENTO DELLA CABINA - È stata individuata a 35 metri di profondità, sommersa completamente dal fango, la cabina della gru crollata ieri, durante la tempesta. «Le operazioni di recupero sono particolarmente complesse data la profondità e la scarsissima visibilità del fondale pertanto stiamo facendo intervenire una nostra unità subacquea di supporto», ha dichiarato il capitano di fregata, Francesco Russo, vicecomandante della Capitaneria di porto di Taranto che coordina le ricerche.
Taranto, riprese ricerche operaio scomparso
IL COORDINAMENTO DELLE RICERCHE - Secondo il capitano di fregata, Francesco Russo, vicecomandante della Capitaneria di porto di Taranto che coordina le ricerche, non sarà facile ritrovare il corpo soprattutto se è rimasto incagliato nei fondali particolarmente limacciosi con una bassissima visibilità.
L’inferno nell’Ilva
GLI OPERAI - «Siamo sconvolti. Siamo disperati per il nostro collega di cui ancora non si hanno notizie»: lo dice un’operaio dell’Ilva, Angelo Pichierri, che si trova stamani davanti all’Ilva, insieme ad un gruppo di colleghi che hanno deciso di organizzarsi in squadre e partecipare alle ricerche, in corso anche via terra, per ritrovare l’operaio di cui non si hanno più notizie da ieri, da quando la gru a bordo della quale il ventinovenne stava lavorando è stata sradicata dal tornado che si è abbattuto nella zona e, sembra, sia stata trascinata in mare. «È vero - dice Pichierri, stiamo male, il nostro pensiero va alla famiglia del nostro collega e siamo anche molto preoccupati per tutto quello che sta avvenendo in questa fabbrica».
DANNI ALL’ILVA - Ammontano a decine di milioni di euro, secondo una prima stima non ufficiale, i danni agli impianti dell’Ilva di Taranto provocati dal tornado abbattutosi ieri sulla città e sul vicino comune di Statte. Sono ancora in corso le verifiche di agibilità degli impianti; sono in funzione le acciaierie 1 e 2, mentre ieri sera è stato riavviato l’altoforno 1 collegato all’acciaieria 1 per mettere in sicurezza totale le reti del gas e far tornare alla normale pressione di esercizio tutti gli impianti. Gradualmente gli impianti dovrebbero ripartire per consentire una minima attività; dall’azienda si conferma comunque che già da ieri l’intero stabilimento è in condizioni di sicurezza.
Nazareno Dinoi
PREMIO AI RIVA
Il patron dell’Ilva Emilio Riva e il figlio Nicola sono agli arresti domiciliari con l’accusa di disastro ambientale; l’altro figlio è fuggito all’estero, forse a Miami. Eppure la sera del 29 novembre a Darfo Boario Terme, nel cuore della Valcamonica (dove il gruppo ha tre stabilimenti) avrebbero dovuto ritirare il premio «imprenditore dell’anno» assegnato loro dall’Assocamuna Vallecamonica. A ritirarlo, al loro posto, nella cerimonia all’Hotel Rizzi di Boario, un delegato del gruppo Ilva.
Un premio in odor di polemiche - Ma come è possibile che mentre governo, istituzioni e l’Italia intera si interrogano su tempi e modi della bonifica dell’Ilva, su come installare presidi d’abbattimento degli inquinanti per scongiurare la chiusura dello stabilimento, i Riva vengano eletti «imprenditori dell’anno»? Luigi Buzzi, cofondatore di Assocamuna (l’associazione degli imprenditori della Vallecamonica, Sebino, Valcavallina e Val di Scalve) ha risposto a Bsnews.it: «Non ho preso io la decisione, ma si tratta di una scelta che ho condiviso: in questa vicenda sto decisamente con Riva e contro le azioni della magistratura, fuori tempo, dannose e persecutorie».
Pietro Gorlani
Il ministro Clini: la chiusura dell’Ilva è un atto autolesionistico che ammazza la siderurgia nazionale. Condividete?
Sì
60.1%
No
39.9%
PEZZO DI STAMATTINA DELLA BACCARO SUL CDS
ROMA — Una figura terza che vigili sull’attuazione delle misure di risanamento dell’Ilva grazie alle quali il governo, che oggi alle 15 accoglie a palazzo Chigi le parti sociali e gli amministratori locali, spera di far ripartire l’attività dell’azienda, sospesa dopo gli atti della magistratura.
Su questo non ha ancora trovato una quadra la task force tecnica dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, alle prese con il decreto sull’Ilva. Un testo definitivo non c’è: ieri Clini ha escluso la possibilità che venga nominato un commissario straordinario per evitare il ripetersi di altre esperienze risultate negative. «Non ce n’è bisogno — ha detto il ministro —. Quello che vogliamo è l’applicazione piena della legge. Non dobbiamo inventarci cose strane. Il decreto del governo dovrà ribadire i contenuti dell’Aia (autorizzazione ambientale, ndr)».
Non così la pensano al ministero di Corrado Passera, dove sono convinti che l’attuazione delle misure vada costantemente vigilata e stimolata con un custode, un commissario o un comitato. Così, in una delle bozze circolate ieri sera, ecco spuntare un «Comitato di Alta garanzia» presieduto dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. Il testo recita: «L’Ilva è obbligata ad adottare misure di urgenza e di tempestiva attuazione per il raggiungimento dei fini di tutela sanitaria e ambientale di cui al decreto di sequestro preventivo del Gip» del 22 novembre, «come individuate dal Comitato di Alta Garanzia» presieduto dal ministro dell’Ambiente, che viene istituito dal momento dell’entrata in vigore del decreto, e come «successivamente dallo stesso implementate e aggiornate».
A queste condizioni «è in ogni caso autorizzata la prosecuzione dell’attività nello stabilimento della società Ilva di Taranto», salvo «che sia riscontrata l’inosservanza anche di una sola della prescrizioni impartite nel provvedimento stesso». La bozza prosegue stabilendo che, in caso di inadempienza, l’impresa «ne risponde ai sensi dell’articolo 650 del codice penale», che prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda.
Oggi sarà Monti ad accogliere azienda e sindacati, insieme con Clini, Passera e i ministri Elsa Fornero (Lavoro) e Renato Balduzzi (Salute). Sono invitati il presidente di Confindustria e i segretari di Cgil, Cisl, Uil e Ugl. Oltre al governatore pugliese, Nichi Vendola, al presidente della Provincia e al sindaco di Taranto, ai parlamentari pugliesi Nicola Latorre (Pd), Raffaele Fitto (Pdl) e Salvatore Ruggeri (Udc).
Antonella Baccaro
PEZZO DI GIUSI FASANO SUL CDS DI STAMATTINA
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
TARANTO — In Algeria, dicevano le prime indiscrezioni. A Miami, si è ipotizzato in un secondo momento. In un Paese dell’area Schengen, stando alle ultime rivelazioni. Su tutto una sola certezza: Fabio Riva non è in Italia e, almeno fino a ieri, non si è dato un gran daffare per rientrare. Sa bene che rimettere piede al di qua delle Alpi significa finire in cella perché la procura di Taranto ha emesso contro di lui un ordine di custodia per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. E dal suo rifugio sconosciuto pare stia studiando una soluzione, un modo per negoziare il ritorno che i suoi avvocati, dicono fonti investigative, gli avrebbero invece consigliato.
C’è chi dice che però il rampollo di casa Riva (vicepresidente di Riva Fire, la società finanziaria di proprietà della famiglia) non ne voglia sapere: inutile insistere, lui per adesso rimane dov’è, semmai se ne riparla dopo che il tribunale del riesame avrà valutato le posizioni degli arrestati dell’ultima ordinanza. Il concetto è: stare a vedere come evolvono le cose, potendo contare su consistenti risorse finanziarie in diversi Paesi.
La Guardia di Finanza non ha ancora firmato il «verbale di vane ricerche», un atto che si scrive dopo aver fatto tutti i possibili tentativi per rintracciare un ricercato e che consente al giudice di dichiararlo latitante e avviare le ricerche internazionali. Un modo, forse, per dargli ancora qualche giorno di tempo sapendo che comunque, se volesse rimanere in latitanza, sceglierebbe un Paese che non prevede l’estradizione per i reati di cui lui è accusato. Qualcuno interpreta come una circostanza non casuale il fatto che Fabio Riva fosse all’estero quando è stata emessa l’ordinanza di custodia: una fuga di notizie sui provvedimenti in arrivo potrebbe averlo convinto a rimanere fuori Italia più del dovuto anche se, a dire il vero, lui è molto spesso in viaggio per lavoro e a Milano (dov’è residente) non passa molto tempo. Men che meno a Taranto, dove non si è fatto praticamente mai vedere in questi mesi di inchiesta. Le sole dichiarazioni sul caso Ilva le ha rilasciate a fine agosto da Bruxelles: «Non abbiamo nessuna intenzione di andarcene da Taranto e di mettere a rischio posti di lavoro».
Sul fronte dell’inchiesta ieri è stata la giornata degli interrogatori di garanzia per alcuni degli arrestati. Ed è stato anche il giorno dei commenti, in Procura, sulla bozza del decreto Ilva che dovrebbe essere approvato domani.
«Confermare questa bozza vuol dire autorizzare l’Ilva a commettere reati e non pagarne le conseguenze» è il commento più diffuso. E ancora: «Sarà un decreto ad aziendam, una violazione ai principi costituzionali di uguaglianza e di diritto alla salute».
Giusi Fasano
CIANCIULLO SU REP DI STAMATTINA
ROMA
— È scattato il conto alla rovescia per la riapertura dell’Ilva. Oggi a Palazzo Chigi incontro tra governo, sindacati, azienda e amministratori locali. Domani, in Consiglio dei ministri, il decreto che trasforma l’Aia (autorizzazione integrata ambientale) in legge modificando il quadro che aveva spinto la magistratura a intervenire. Il provvedimento di sequestro dell’acciaieria era scattato in assenza di visibili segnali di fuoriuscita dalla drammatica crisi ecologica e sanitaria. Ora le norme di salvaguardia (che richiedono
circa 3 miliardi di euro) diventano legge e la fabbrica potrebbe riaprire nell’arco di pochi giorni.
Se il percorso è chiaro, le modalità vanno perfezionate. La bozza del testo prevede che il provvedimento duri «24 mesi a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto», «salvo sia riscontrata l’inosservanza anche a una sola delle prescrizioni impartite», e che si istituisca un Comitato di alta garanzia presieduto dal ministro dell’Ambiente.
«Sui contenuti tecnici del decreto si sta discutendo, parlarne è prematuro», precisa
il ministro dell’Ambiente Corrado
Clini. «Ma sull’orientamento generale siamo d’accordo: dare piena e rapida applicazione all’Aia del 26 ottobre. Tenere assieme la protezione della salute degli abitanti di Taranto e la difesa delle migliaia di posti di lavoro senza le quali il quadro sociale
può diventare drammatico».
Su questa linea il consenso è vasto e bipartisan (con l’eccezione di Lega e Verdi): dal ministro del Lavoro Elsa Fornero («Recuperare condizioni ambientali compatibili con la salute e non mandare al macero 20 mila posti di lavoro») al commissario Ue all’Industria Antonio Tajani e al responsabile ambiente Pd Stella Bianchi («L’Ilva deve rispettare l’Aia, a maggior ragione visti gli utili accumulati»). Proprio sul capitolo utili si è aperto un nuovo fronte: «Neanche un euro di questa gestione deve andare alla proprietà», chiede il giurista
Gianluigi Pellegrino.
Sul caso è intervenuto anche l’editore del gruppo l’Espresso, Carlo De Benedetti: «Farei un sequestro conservativo, ridurrei la capacità produttiva e aggiornerei l’impianto. Poi direi ai Riva “prendi l’impianto e paga o altrimenti lo vendo”». De Benedetti ha anche accennato all’impegno che i Riva hanno avuto nell’acquisto di Alitalia: «Non conosco Riva ma se è il primo azionista di Alitalia, con soldi buttati nel gabinetto, lo ha fatto, immagino, per benevolenza politica. Magari per far chiudere gli occhi su quello che faceva in acciaieria».
MARCO PREVE
GENOVA
— «Nel 1997 Emilio Riva mi offrì 300 milioni di lire per finanziare la mia campagna elettorale ma io rifiutai perché, come sindaco in carica, dovevo prendere delle decisioni sulla sua azienda ». Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei Minori, come sindaco di Genova tra il 1993 e il 1997 avviò e definì il percorso che portò alla chiusura dell’area a caldo dell’Ilva di Genova.
Quindici anni dopo la storia si ripete?
«Se oggi assistiamo al dilemma impossibile di Taranto: salute o lavoro — dice Sansa — , la colpa è della poca autorevolezza della politica. E da quando ho letto dei finanziamenti ai partiti, Pd e Pdl,
locali e nazionali, non mi sento di escludere che una componente di questa opacità di comportamento degli amministratori sia dovuta proprio a questo aspetto».
Cosa le offrì Riva?
«Telefonò un suo manager dicendomi che Riva voleva contribuire alla mia campagna. Quando spiegai che avevo fissato un tetto ai contributi di 3 milioni di lire mi spiegò che il dottor Riva pensava piuttosto a 250-300 milioni. Dissi di no. Quando poi il partito mi scaricò decisi di presentarmi con una lista civica. Feci la campagna con i soldi dei vecchi compagni di scuola ma non venni rieletto ».
FOSCHINI SU REP DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
TARANTO
ARCHINÀ è quel signore che ieri sera è stato per più di sette ore a parlare nel carcere di Taranto con i giudici che lo hanno arrestato. Oggi per tutti è un appestato, ma un anno fa per il vescovo di Taranto era l’uomo che si era maggiormente distinto per il volontariato in città: «Vogliamo ringraziare Dio per questo dono della Sua Provvidenza: il presidente Riva mi ha espresso le motivazioni che hanno indotto il suo gruppo a tale atto di generosa attenzione.... « scriveva monsignor Benigno Papa dopo aver ricevuto un assegno da 365mila euro per la ristrutturazione di una chiesa. E quando gli ambientalisti provarono a protestare, rispose sdegnato: «Quello che non dovrebbe accadere è cavalcare la giusta tematica della salvaguardia dell’ambiente per motivazioni strumentali. Caso contrario dovrei pensare che ci sia un inquinamento spirituale che è peggiore dell’inquinamento ambientale ».
La vicenda è emblematica per provare a rispondere alla domanda più frequente che viene posta quando si parla di Ilva: «Ma com’è stato possibile tutto questo? Perché nessuno li ha fermati? ». L’inchiesta della magistratura sta contribuendo a rispondere al quesito, evidenziando quello che era da anni davanti agli occhi di tutti: Riva era un uomo molto generoso. E questo gli valeva in tutti gli ambienti grandissima riconoscenza. La Chiesa lo ringraziava con targhe celebrative quando contribuiva a restaurare immobili o a finanziare le feste religiose. La politica per lo
meno le temeva: le intercettazioni telefoniche raccontano che aveva interlocutori in parlamento di tutti gli schieramenti, Berlusconi lo definì un «capitano coraggioso » quando salvò Alitalia dal fallimento. I libri contabili raccontano che finanziava (in occasioni delle politiche del 2006) con 245mila euro Forza Italia e 98mila Pier Luigi Bersani. A Taranto staccavano assegni per la facoltà di Ingegneria, diretta da quel Lorenzo Liberti (oggi arrestato) che poi per conto della Procura era chiamato a scrivere perizie per lo stabilimento. E
sempre l’Ilva figura tra i clienti della società di consulenza che sempre Liberti aveva avviato.
Ma all’epoca non si sapeva che Riva non fosse proprio una personcina per bene, dirà qualcuno. In realtà qualche sospetto si poteva avere: il 15 ottobre del 2006 il patron Emilio era stato condannato in Cassazione per le emissioni della fabbrica e negli anni successivi erano fioccate condanne simili nei primi gradi di giudizio. Questo però non bastava a fare per lo meno insospettire gli enti locali. Anzi: alla vigilia di una sentenza di Cassazione
sui parchi minerali (oggetto principale anche di questa inchiesta) Comune, Provincia e Regione rinunciarono a chiedere il risarcimento all’azienda siglando invece un altro accordo che — dicono i giudici — ha portato poi a nulla. Appena eletto per il primo mandato, sei anni fa, l’attuale sindaco Ippazio Stefano (a capo di una coalizione di centrosinistra) pensò bene di ringraziare sentitamente l’Ilva per quello che aveva fatto per la città «senza chiedere nulla in cambio». Cosa? Il sistema idrico per il cimitero, costo 150mila euro,
«che in questo modo permette a tutti i cittadini di poter riempire facilmente i portafiori d’acqua ». La ristrutturazione del cimitero dei Riva è quasi più paradossale del campo di calcetto aperto dall’azienda al Tamburi, per fare giocare i bambini, che però non si è potuto mai usare perché era inquinato. Nel frattempo i sindacati scioperavano, e fuori dai cancelli arrivava il pasto al sacco fornito dall’azienda. Mentre i professionisti della città si vedevano finanziare convegni e meeting (per esempio le associazioni come i Lions) da assegni a quattro zero dei Riva.
È evidente, quindi, che il problema inquinamento non fosse poi così sentito. Oppure forse doveva avere ragione l’Ilva: l’inquinamento non era colpa del siderurgico. E di chi allora? Delle discariche abusive. Lo dice l’azienda in una difesa al Tar depositata il 18 dicembre del 2008: «La situazione ambientale — si legge — presenta elementi di criticità riconducibili a un pregresso e generali: tolleranza di discariche abusive, scarichi nei corsi d’acqua, mancanza di un moderno sistema fognario, dall’assenza di impianti per lo smaltimento dei rifiuti e la depurazioni dei reflui». Discariche, fogne e depuratori. Altro che fumi.
L’INTERROGATORIO DI ARCHINA’ SULLA STAMPA (GUIDO RUOTOLO)
Quattro ore. Tanto è durato l’interrogatorio di Girolamo Archinà, finito in carcere tre giorni fa. Quattro ore passate a rispondere alle domande del gip Patrizia Todisco, nel corso dell’interrogatorio di garanzia. L’uomo delle relazioni istituzionali dell’Ilva ha precisato, si è difeso, ha contrattaccato dichiarandosi innocente. Non ci sta a passare per il grande corruttore, per lo stratega delle complicità con la politica, i sindacati, il mondo dell’informazione. Tutti impegnati a coprire la grande acciaieria che produceva il disastro ambientale.
Non si ritrova, Girolamo Archinà, nella rappresentazione che i pm e il gip Todisco hanno fatto di lui. Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale e corruzione in atti giudiziari, le accuse contestate dai pm. La bustarella con 10.000 euro per ottenere dal consulente della Procura una perizia amica, passata di mano da Archinà al professore Lorenzo Liberti in un autogrill? «Falso - risponde indignato al gip - in quella busta c’erano dei documenti. Mai corrotto il consulente dei pm. E quei 10.000 euro erano effettivamente destinati alla Curia».
Al gip Todisco ha consegnato anche una documentazione. Va ricordato che al segretario dell’ex vescovo, don Marco, è stato notificato un avviso di garanzia per false dichiarazioni ai pm.
È convinto, l’ex responsabile delle relazioni industriali dell’Ilva, di non aver commesso reati, di aver mantenuto relazioni lecite con i suoi interlocutori. Ha contestato che i brani di intercettazione telefoniche contestati contenessero elementi di reato. Poco meno di 11.000, in meno di due anni. È questo l’impressionante numero di i n t e rce t t a z i o n i telefoniche di Archinà finite negli archivi della Procura. Personaggio chiave, per l’accusa. Anche perché, non va dimenticato, che dall’«inchiesta madre» sul disastro ambientale, sono nati diversi filoni di indagine che vanno approfonditi. Le migliaia di intercettazioni andranno adesso analizzate dal pool dei pm Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani, coordinati dal procuratore Franco Sebastio e dell’aggiunto Pietro Argentino.
Intanto, il Tribunale del Riesame ha fissato per il 6 dicembre l’udienza dove si discuterà il ricorso presentato dalle difese dell’Ilva per la restituzione dei beni sequestrati. Stiamo parlando dei coils, dei laminati e dei tubi ritenuti dall’accusa il «prodotto del reato» e che la fabbrica continua a sfornare.
PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA’ SUL DECRETO (ANCORA RUOTOLO)
Povera Taranto, che adesso sente Roma tuonare contro di lei, perché città illegale. Sì, ieri il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha spiegato che la decisione di procedere con un decreto legge è solo per «difendere la legalità»: «Non accettiamo intimidazioni. Se non riusciamo a tenere su questo punto, non c’è più nessuna garanzia nè certezza delle regole. Se chiude l’Ilva facciamo un gran regalo ai concorrenti stranieri».
A poche ore dall’incontro a Roma, a Palazzo Chigi, tra il governo e le rappresentanze delle istituzioni locali e dei sindacati, che partorirà la decisione di procedere con un decreto legge, che il Consiglio dei ministri dovrebbe varare venerdì, si moltiplicano così le pressioni del governo, delle forze politiche, dei sindacati per questa soluzione tampone che esautora la magistratura dalla vita dell’Ilva. Il ministro del Welfare e del Lavoro, Elsa Fornero: «Dobbiamo fare in modo che in questo stabilimento, senza che chiuda, ci sia il recupero delle condizioni ambientali compatibili con la salute e non si mandino al macero 20.000 posti di lavoro. Non possiamo permettercelo e non è accettabile per queste persone».
Taranto, capitale della Magna Grecia, scopre così che l’offensiva giudiziaria contro l’inquinamento e il disastro ambientale in realtà è stata una offensiva criminale, illegale.
Ma passata l’euforia per lo scampato pericolo, ripresa l’attività, in marcia acciaierie, cokerie e altoforni, gli stipendi e le tredicesime saranno garantiti ai quasi 12.000 dipendenti. Superate le feste natalizie, tornerà quel senso di precarietà, di incertezza sul futuro stesso dello stabilimento. Perché emergerà che il decreto salva Ilva presenta «profili di dubbia costituzionalità», come motiveranno i ricorsi che saranno presentati alla Consulta. E nell’attesa di una pronuncia, andranno avanti le inchieste giudiziarie.
Il ministro Clini dice che la chiusura della fabbrica «favorisce i concorrenti stranieri». Gli ambientalisti in trincea contro il «mostro» che produce veleni e morte, denunciano che il decreto legge che il governo sta per varare è «un golpe contro l’ordinamento legislativo ambientale e a tutela della salute» (Angelo Bonelli, leader dei Verdi, consigliere comunale d’opposizione a Taranto).
Più o meno è quanto pensano i titolari delle inchieste sull’ambiente. «È vero che il decreto assorbe l’Aia. Ma così la legge autorizza l’Ilva a commettere reati». Poco prima che il tornado si abbattesse nell’area del porto, di Statte, dell’Ilva, in Procura si stilava l’elenco dei profili di incostituzionalità del decreto legge: «È una norma ad aziendam che viola il principio di uguaglianza dell’articolo 3. Anche l’articolo 32 della Costituzione, che garantisce il diritto alla salute, sarebbe violato. Nei fatti, il decreto cancella i reati in corso: le emissioni delle sostanze pericolose nell’ambiente».
L’annuncio del decreto ha spiazzato gli ambientalisti. Angelo Bonelli ma anche Alessandro Marescotti, della associazione Peacelink, sono convinti che gli impianti non potranno essere dissequestrati. Marescotti pensa a tutto il lavoro di questi mesi: «Taranto è cambiata. Abbiamo attivato una sorta di Telefono amico per le denunce di violazioni ambientali. Molti lavoratori dell’Ilva ci hanno chiamato.».
Che brutta sensazione, Taranto. Ore che ricordano Sigonella, quando i militari della base americana in Sicilia imbracciarono i mitra per difendere un aereo atterrato (con dentro capi terroristi palestinesi). E a circolo più largo una task force di militari americani imbracciavano anche loro i mitra. Ecco, Taranto ricorda Sigonella. tempo necessario per ottemperarvi. La salute di una intera collettività non può attendere questo tempo: la legge, ma prima ancora il buon senso, dovrebbe imporre a chiunque di ottenere prima l ’eliminazione di ogni pericolo per la salute e solo dopo consentire la ripresa della piena produttività degli impianti».
Ci sono profili di incostituzionalità?
«Questi aspetti saranno oggetto di valutazione solo dopo avere conosciuto l’esatto contenuto del decreto. La speranza è che non si debba arrivare a conflitti in una situazione in cui è necessaria la massima collaborazione tra istituzioni nell’interesse dei cittadini e nel rispetto dei principi della nostra Costituzione».
Ma era proprio necessario che il governo intervenisse con un decreto legge?
«Credo che la esatta conoscenza degli atti e di quello che è avvenuto in questi anni a Taranto, abbiano dato a tutti la possibilità di riconoscere che la magistratura è intervenuta di fronte a di gravi reati, nel rispetto delle proprie prerogative. La situazione non può essere risolta con delle scorciatoie».
PEZZO DI GIORGIO MELETTI SUL FATTO
’Scocca l’ora di Fabio", titolava due mesi fa il Corriere della Sera. E infatti, dopo aver arrestato in luglio il padre Emilio e il fratello Nicola, i magistrati stavano già preparando la custodia cautelare in carcere per Fabio Riva, il vero gestore dell’Ilva di Taranto. E ovviamente il titolo del quotidiano, milanese come la famiglia Riva, non si riferiva alla malasorte giudiziaria, ma al fatto che, con mezza famiglia ai domiciliari, toccavano a Fabio le decisioni importanti.
Dopo il mandato di arresto di lunedì mattina, le voci lo danno a Miami, da dove si tiene in contatto con gli avvocati per valutare le prossime mosse. Emilio e Nicola sono ai domiciliari, per Fabio c’è invece pronta una cella, prospettiva non esaltante.
Ancora meno esaltante è la prospettiva illustrata ieri in Parlamento dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini: rimettere a posto l’Ilva di Taranto, cioè rendere accettabile l’impatto ambientale della più grande acciaieria d’Europa, richiederà all’azienda l’investimento di 3 miliardi di euro nei prossimi anni, esclusi i costi di bonifica.
Dunque la mitica Autorizzazione Integrata Ambientale, quel set di regole all’interno delle quali l’acciaieria dovrebbe proseguire attività e produzione, e che i critici considerano una foglia di fico, imporrebbe ai Riva di mettere mano al portafoglio, pesantemente: stiamo parlando di un’azienda che fattura attorno agli 8 miliardi all’anno, e che fa qualche centinaio di milioni di utili negli anni buoni, e centinaia di milioni perde negli anni cattivi, vista la sempre fortissima fluttuazione dei prezzi dell’acciaio.
I Riva tengono all’estero la cassaforte che controlla il gruppo. È vero che l’Ilva non ha mai distribuito dividendi, e i Riva dichiarano di aver reinvestito tutti gli utili, però sicuramente qualche rivolo di profitti è finito nelle casse estere della famiglia. Resta però un mistero se è abbastanza per finanziare il risanamento dell’Ilva e soprattutto, in caso affermativo, se i Riva hanno voglia di aprire il portafoglio per la fabbrica di Taranto.
I 3 miliardi di investimenti imposti dall’Aia potrebbero essere superiori agli utili dei prossimi anni, ammesso che utili ci siano. Alla domanda se questo onere sia compatibile con la sopravvivenza economica dell’acciaieria, Clini per ora non risponde: lui fa il ministro dell’Ambiente e le centinaia di prescrizioni dell’Aia sono la sua linea del Piave, almeno così dice, mentre ha cominciato a rifiutarsi di fare supplenza al latitante ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, in questi giorni in Cina, cioè assai lontano, come sempre quando ci sono grane.
I Riva, dunque, devono decidere che cosa fare da grandi, e chi ha gli strumenti per fare la scelta è proprio Fabio. Il 58enne ragioniere, titolo con il quale i suoi dipendenti e consulenti sono stati abituati a riverirlo, appare nella ricostruzione dei magistrati tarantini il vero protagonista e tessitore dell’associazione a delinquere di cui peraltro la leadership viene attribuita al padrone vero, l’86enne Emilio Riva.
Ma è Fabio il crocevia di telefonate fittissime con cui soprattutto Girolamo Archinà, il lobbista arrestato lunedì, relaziona su tutte le mosse che il gruppo fa nella complicata scacchiera delle autorizzazioni ambientali: corruzione e falso gli altri reati contestati a Fabio Riva insieme a quello principale.
Gli scambi tra Fabio e Girolamo che le intercettazioni ci restituiscono sono esemplari. Archinà parla, parla, forse millanta, Riva normalmente risponde a monosillabi, poi fa partire qualche ordine secco. Sembra avere un rapporto sfocato con il mondo politico. Quando va a parlare con il governatore Nichi Vendola e i suoi uomini alla regione Puglia, ha una reazione di raccapriccio, confidata al figlio: "Ci sono dei belli elementi lì, bisogna starci molto all’occhio". E infatti.