Guido Castellano, Panorama 29/11/2012, 29 novembre 2012
IL RITORNO DI KIM.COM
Il 19 gennaio questo pulsante cambierà il mondo». Con questa frase il re dei pirati del web, Kim Dotcom, annuncia il suo ritorno. E lo fa in grande stile come il nome, Mega, del suo nuovo network impone: «Lo abbiamo promesso e lo faremo. Più grande, migliore, più veloce, robusto e sicuro».
Kim Dotcom allude alla rinascita di quella che è stata la terra promessa per oltre 1 miliardo di persone che, impunemente, per anni, hanno scaricato illegalmente film, musica, serie tv e libri dai suoi server. Megacontenitori di materiale coperto da diritto d’autore che il 19 gennaio scorso sono stati spenti dall’Fbi americana in un’operazione congiunta con le polizie di mezzo mondo. È per questo che Dotcom ha scelto il 19 gennaio come data di lancio del nuovo Mega. Sul suo sito (Kim.com) getta il guanto di sfida alla giustizia americana e alle major che lui accusa di essere i veri gestori occulti dell’operazione «takedown» (che in americano vuol dire abbattere) che ha portato all’oscuramento dei suoi servizi.
Dotcom sostiene a gran voce dalle pagine del suo sito come non sia un caso che lo stop a tutti i suoi servizi sia arrivato a soli 2 giorni dal lancio di un’iniziativa, legale, che avrebbe potuto mandare in pensione siti come iTunes della Apple e Google Play. Con la collaborazione di famosissime pop star fra cui Will.i.am dei Black Eyed Peas, Jamie Foxx e Alicia Keys, infatti, stava per inaugurare un negozio di musica digitale da scaricare gratuitamente, previa la visione di spot pubblicitari. Avrebbe potuto essere una nuova frontiera.
«Vinceremo in tribunale» afferma Dotcom in un’intervista rilasciata recentemente al mensile Wired. «Pensavano che fossi un bersaglio facile, che fossi uno scherzo. Mi hanno sottovalutato. Quello che non sapevano è che sono uno dei più puliti là fuori». Il lancio del nuovo Mega arriverà pochi giorni prima di processi che lo vedranno imputato. Una scelta che gli farà pubblicità gratuita in tutto il mondo.
Kim Dotcom è un personaggio di cui, fino al 19 gennaio scorso, pochi conoscevano il volto. Ma il blitz alla Mission: impossible nella sua villona in Nuova Zelanda lo ha reso famoso anche a chi di internet poco sa. Eccentrico, con la passione per le belle auto e il lusso ostentato, non nasconde le sue manie di grandezza nemmeno nel suo nome: Dotcom, infatti, è la traslitterazione di .com, il suffisso dei siti internet. Ma Kim Dotcom è solo l’ultimo dei nomi che identificano la sua genialità.
All’anagrafe di Kiel, in Germania, dove è nato 38 anni fa, è registrato come Kim Schmitz. È un cittadino tedesco, con residenza a Hong Kong, che ha avuto diverse identità: si è fatto chiamare Tim Vestor, Kim Tim Jim, Doctor Evil e Kimble, come il personaggio interpretato da Harrison Ford nel film Il fuggitivo. Lui si identifica in Kimble: un onesto cittadino costretto a fuggire perché accusato ingiustamente. Tesi che, negli anni, Dotcom ha dovuto sostenere tante volte mentre faceva le valigie per fuggire da situazioni che lo avrebbero potuto portare in carcere.
Ha un passato da hacker, come pure da truffatore con due condanne sulle spalle. In guardina qualche mese lo ha pure trascorso. In Germania è famoso per essere stato protagonista negativo del più clamoroso caso di insider trading nella storia della finanza tedesca. Ma ogni volta che è stato beccato Dotcom si è reinventato, dimostrando che, se non avesse utilizzato «il lato oscuro della forza», per usare un gergo alla Guerre stellari, avrebbe potuto rivelarsi un genio come Bill Gates o Steve Jobs. L’ultima sua invenzione, chiusa per volere del dipartimento della Giustizia americano, era e rimane una trovata geniale. Prima che fosse chiuso dal raid dell’Fbi il suo network di siti, da solo, generava il 4 per cento del traffico totale in internet. Nel documento diffuso a gennaio dal dipartimento della Giustizia americano si legge: «Megaupload aveva più di 1 miliardo di visitatori, più di 150 milioni di utenti registrati e 50 milioni di visitatori al giorno». Megaupload ha fruttato a Kim Dotcom 175 milioni di dollari di profitti illeciti e ha causato oltre mezzo miliardo di danni ai titolari dei diritti. Fra i capi d’accusa c’è anche il riciclaggio di denaro.
Kim Dotcom ha una carta da giocarsi in tribunale. Per salvarsi, vorrebbe fare appello al Digital millennium copyright act, la legge americana del 1998 (firmata da Bill Clinton) che serve a proteggere il diritto d’autore. Questa norma contiene il principio del cosiddetto «safe harbor» (porto sicuro), secondo cui un provider non è responsabile dei contenuti generati dagli utenti se provvede a rimuovere dai suoi server il materiale illegale non appena riceve una segnalazione. È questo principio che, almeno secondo una prima sentenza, ha salvato Youtube dal pagamento di 1 miliardo di dollari al colosso dei media Viacom, che accusava la società di proprietà della Google di ospitare sulla sua piattaforma materiale protetto da copyright. Youtube, infatti, si è difesa sostenendo di avere rimosso sempre prontamente i filmati segnalati, a volte anche il giorno dopo avere ricevuto una notifica da parte della Viacom. Kim Dotcom fa appello allo stesso principio: dice di non essere responsabile di ciò che transitava sui server di Megaupload. Per questo, sostengono i suoi avvocati, la maggior parte dei suoi archivi digitali si trova in Virginia. Proprio per potere essere protetti dal «safe harbor» garantito dal Digital millennium copyright act.
«Se questi e quelli, perché non io» diceva Sant’Agostino. Stesso ragionamento sembra fare Dotcom. Se hanno assolto Google, perché non lui? Nei video che pubblica sul suo sito, Dotcom accusa Barack Obama di avere ricevuto molti aiuti da Hollywood e, per questo, di essere una pedina in mano alle major. Il rieletto presidente degli Stati Uniti, invece di smentire, ha appena annunciato che tra i primi provvedimenti del nuovo mandato ci sarà una nuova legge che protegga il diritto d’autore. Una norma che dica la parola fine alla pirateria senza incidere sulla libertà del web. Ma i due progetti che si sono arenati alla Camera e al Senato durante la sua presidenza non fanno ben sperare.
Lo Stop online piracy act e il Protect ip act, meglio noti in rete con gli acronimi Sopa e Pipa, sono infatti naufragati. La prima norma avrebbe permesso di procedere contro i siti considerati illegali, bloccando i pagamenti degli utenti e, al contempo, facendo rimuovere i medesimi siti dai motori di ricerca. La seconda avrebbe consentito al governo statunitense di inibire, d’autorità, l’accesso ai siti canaglia, ovvero quelli che favoriscono la diffusione di file illegali o prodotti contraffatti. Due provvedimenti che hanno fatto salire sulle barricate non solo gli anonimi di Anonymous, ma anche colossi come Wikipedia, Google, Youtube, Facebook e Twitter, secondo i quali Sopa e Pipa, se approvati, pur proponendosi di combattere la pirateria e difendere il diritto d’autore, avrebbero potuto limitare la libertà di espressione individuale.
Ma come pensa di aggirare la legge e quali sono i punti su cui si basa il nuovo sito Mega che Dotcom lancerà il prossimo 19 gennaio? Per certi versi continuerà a funzionare come prima. Saranno gli utenti che caricheranno sui server di Mega i loro file, che potranno essere condivisi e scaricati. Dotcom, grazie a un tecnoescamotage, non sarà più responsabile del comportamento illecito dei suoi clienti. Ogni file caricato, infatti, verrà criptato, automaticamente, con un algoritmo sicuro e impenetrabile. La chiave per poter leggere i documenti non sarà a conoscenza né di Dotcom né del suo server Mega, ma verrà gestita in totale autonomia da chi carica i file. Che deciderà con chi e come condividere questa chiave di accesso.
Le ragioni di questa mossa: Dotcom non potrà più essere accusato di ospitare consapevolmente file illegali. In più questo nuovo metodo di gestione dei documenti digitali servirà da deterrente per eventuali blitz futuri dell’Fbi. «Se i server andassero perduti, se il governo facesse irruzione in un data center e lo saccheggiasse, non otterrebbe nulla» spiega Dotcom nella sua intervista a Wired «Ogni file, senza l’apposita chiave, rimarrà privato e inaccessibile. A tutti».