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 2012  novembre 29 Giovedì calendario

SI CREDONO SERI PERCHÉ PARLANO DI RENZI E BERSANI

Mancano pochi giorni al 13 dicembre, il giorno della prima italiana del nuovo film di Peter Jackson, Lo Hobbit, «prequel» del Signore degli Anelli (si dice così in slang cinematografico ma non in lingua elfica, quindi J.R.R Tolkien, autore d’entrambi i romanzi, disapproverebbe). Chissà se anche Lo Hobbit, come a suo tempo Harry Potter, mago bambino, e la sua controparte, Il Signore degli Anelli, brutto e tossico come il peccato, spopolerà al cinema e se allora sarà di nuovo festa grande per gl’intellettuali che non hanno mai abbastanza argomenti sui quali pontificare, per le pagine di costume, per i politici all’eterna ricerca di qualche nuova frase fatta per dire sempre le stesse cose.
Secondo Jorge Luis Borges non c’è altra letteratura che la letteratura fantastica, vasta e smodata quanto il repertorio d’orrori e meraviglie che riesce a suscitare. Draghi e scimitarre, lampade magiche, animali parlanti, moschettieri del re, notti arabe, elfi e unicorni. È nelle storie che fumano dentro il paiolo delle streghe, insieme agli occhi di drago e alle code di lucertola, che la letteratura prende posizione, come si diceva una volta, e dice quel che pensa del suo nemico giurato: il mondo reale. E quel che ne pensa è che non ne pensa niente di buono. Raccontare il mondo tale e quale, così com’è, fotografandone con la lingua di fuori i dettagli, è roba da voyeur e da sociologi, non da narratori di storie, che non mettono in scena la vita quotidiana ma il suo contrario: collegi segreti di magia, principesse dormienti, cacce al falcone, guerre dell’anello, avventure d’agenti segreti, di Rambi e di re, di regine e di secchie rapite, di pozzi e di pendoli, di mostri deformi, di selve oscure, di diavoli cornuti, di Cavalieri Jedi e d’arcolai fatati in agguato nel bosco.
Non c’è altra letteratura che questa. Forse non riesce sempre a spiegare com’è fatto il mondo, ma ogni volta ci dice come ci si sta — a disagio, grazie. C’è un proposito radicale nella letteratura fantastica: fuggire dal mondo e via, stabilirsi altrove, senza guardarsi indietro e senza lasciare indirizzo. Nel fantastico ci si perde, come in un sogno pilotato, al quale le storie fantastiche danno forma, tracciandone la mappa e segnando la pista. È per questo che Harry Potter e Frodo l’Hobbit (dal 13 dicembre in poi anche Bilbo l’Hobbit), diventano modelli nei quali identificarsi non è soltanto facile ma anche opportuno. Bilbo e gli altri sono campioni nell’arte dell’evasione, l’arte della fuga e della diserzione, cioè esattamente l’arte in cui tutti vorrebbero eccellere.
Come non c’è altra letteratura che la letteratura fantastica, allo stesso modo non c’è altra letteratura adulta che la letteratura per ragazzi. Un tempo non c’era alcuna distanza tra la letteratura con i calzoni lunghi e quella con i calzoni corti. Quando d’un libro si diceva (di Pinocchio, per esempio, ma anche del Ritratto di Dorian Grey o delle Mille e una notte) che andava bene per «grandi e piccini» non era réclame ma vangelo.
Adesso si tentano i bambini con romanzetti a tesi, amici ritrovati, piccoli brividi e via così, niente più favole, alla quale si rimproverano crudeltà e ruvidezze, guidandoli verso un’idea della letteratura sempre più realistica e normalizzata. Degli adulti, poveracci, non parliamo nemmeno, condannati come sono ad andare dove li porta il cuore, magari a votare per Renzi o Bersani alle primarie del Pd, alcuni persino a tifare per il fantasma di Forza Italia. Così è una fortuna che stiano tornando, con Lo Hobbit, tra noi vecchie conoscenze del fantastico nudo e crudo come Bilbo, il Drago e il perfido Gollum. Cioè personaggi duri, che si muovono all’interno di storie toste e pesanti, per «grandi e piccini» — lettori esigenti.