Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/11/2012, 28 novembre 2012
I FGCI TOSCANI SEMBRANO VOPOS
[L’indicibile è successo. Non basta la volante ex Dc] –
Una bersaniana resa dei conti. È quella che si prospetta nella Toscana ex-felix degli ex-Pci-Pds-Ds: l’odiato Matteo Renzi, il «ragazzo» come lo chiamavano con superiorità ai tempi della sua pimpante presidenza provinciale a Firenze, in quota Margherita, non riuscirà a vincere la gara con Pier Luigi Bersani, domenica, ai ballottaggi delle primarie di centrosinistra, ma li ha spazzolati in lungo e in largo.
Il rotondo 52% registrato dal Rottamatore è un dato così clamoroso e così inaspettato alla vigilia, che la tenuta di Livorno e Massa Carrara, le sole province dove i suffragi del segretario nazionale hanno prevalso, peraltro rimanendo sotto il 50%, non consola affatto. In Toscana, l’establishment ex-diessino malgrado il soccorso dei post-democristiani più ortodossi di Dario Franceschini e quelli più border-line di Enrico Letta, si ritrova i barbari alle porte. Le facce dei sindaci di lungo corso, degli amministratori locali cresciuti a pane e Fgci (la storica federazione dei giovani comunisti) hanno i volti attoniti dei vopos, i poliziotti a guardia del Muro di Berlino, dinnanzi a Rostropovich, in frac, che suonava il violoncello, e all’andirivieni di tedeschi, di qua e di là, dai varchi aperti. Era, anche allora, un novembre, ma del 1989. L’indicibile, fino a poco tempo fa, è stato detto da 400mila elettori toscani. Ce li ha mandati il Genio fiorentino, come lo apostrofavano alludendo con dispregio alla kermesse culturale che Renzi aveva messo in piedi negli anni della provincia. Quello che sembrava un incidente di percorso, quello a cui una compagna assessora comunale disse sarà bene che tu aspetti il tuo turno« quando provò a dire che voleva fare le primarie per sindaco, quello che sarebbe bruciato nel fuoco delle sue fatue ambizioni nazionali, quello lì insomma, ora chiede il conto. Nessuno ci prova, ora, a dire che le primarie non sono un congresso, perché nessuno ci crede. O meglio, lo ricorda Andrea Manciulli, segretario bersaniano, masterizzato a Parigi e appassionato di studi strategici, per ripetere che non si dimetterà, aggiungendo, in sfida, un«mi sfiducino!» che fa quasi vintage berlusconiano. O, per stare alle sue passioni, il generale Tadamichii Kuribayashi, comandante giapponese a Iwo Jima, che rimaneva asserragliato sull’isola brulicante di americani. Le primarie non sono un congresso ma se, quando la conta verrà, Renzi porterà anche solo un elettore su 10 a iscriversi al Pd, non ci saranno bersaniani, franceschiniani, lettiani che terranno, tanto sono ai minimi termini gli iscritti. E nel magone generale, salvo qualche impettita dichiarazione per l’imminenza di Bersani premier, si diffonde, rapido, il risentimento. Fra compagni, fra generazioni di compagni. «Il giorno dei coltelli nel Pd che ha perso», ha titolato ieri il Corriere Fiorentino.Il redde rationem sarebbe cominciato infatti fra bersaniani, prima della resa dei conti con gli uomini di Renzi, troppo presi nel tentare il tutto per tutto, domenica, al ballottaggio. Sono state lette in questo senso le dichiarazioni del governatore Enrico Rossi, l’uomo che Carlo De Benedetti vorrebbe alla guida del Pd, che non nasconde ambizioni nazionali, e che dalla débâcle toscana dei bersaniani riceve un danno d’immagine clamoroso.Lui, il governatore dinamico ed efficiente, amato dai suoi, moderno ma non modernista, lui sconfessato dal popolo delle primarie. Dopo l’improvvida riduzione del successo di Renzi a fatto di toscanità, l’altro ieri ha corretto il tiro, osservando che dalle urne è uscito «un forte messaggio di rinnovamento che Renzi incarna meglio e su cui occorrerà riflettere». Non bisogna e essere un habitué di Via Forlanini a Firenze, sede regionale del partito, per capire che la riflessione tocchi al compagno segretario regionale. A Manciulli il lanciatissimo presidente toscano addebita il rinnovamento mancato. E anche la scelta di giovani funzionari, mrivelatisi un tonico per i renziani per la continua, personalizzata, esacerbata opposizione. Con il risultato che nella Piana, la zona fra Firenze e Prato, rossa da sempre e regno di sindaci fieramente antirenziani, Renzi ha stravinto. Nella post-comunista S. Donnino, il sindaco ha addirittura doppiato il segretario nei consensi. Consentendo a Stefania Saccardi, che è di quelle parti, ed l’assessora più renziana della giunta Renzi, una battuta facile facile per una «pellaccia» del contado fiorentino: «Non ho mai conosciuto il marchese di S.Donnino».