Roberto Giovannini, La Stampa 29/11/2012, 29 novembre 2012
L’INCIDENTE ALL’ILVA
[Perché il tempo è più «cattivo»?] –
Ieri una tromba d’aria si è abbattuta su Taranto. Cicloni, piogge torrenziali, ondate di caldo. Che sta succedendo?
Succede, purtroppo, ciò che la stragrande maggioranza degli scienziati ha previsto da tempo: il fenomeno del riscaldamento globale - causato dalle emissioni di gas serra generate dall’attività industriale - sta aumentando progressivamente la temperatura media del pianeta. Questo provoca importanti cambiamenti nel normale ciclo dei fenomeni atmosferici. Cambiamenti di grande portata, di cui non siamo in grado ancora di comprendere le proporzioni, vista la complessità delle interrelazioni tra oceani, venti, correnti e così via. Ma che si stanno concretizzando nell’aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni meteorologici «estremi».
Quali sono i fenomeni meteo considerati «estremi»?
Ad esempio, ondate anomale di caldo record, alternate e periodi di freddo estremo; siccità prolungate in grado di dar luogo a incendi di vastissime proporzioni, ma anche ondate di pioggia particolarmente forti, che spesso provocano inondazioni; cicloni e uragani, più potenti e distruttivi nelle fasce intorno ai tropici, ma che tendono a toccare anche le aree finora mai interessate; scioglimento dei ghiacci perenni, con conseguente innalzamento del livello dei mari e pericoli per le zone costiere.
C’è chi dice che questi sono fenomeni ricorrenti, e che non c’è da preoccuparsi...
Errore. L’evidenza scientifica dimostra che gli eventi estremi si moltiplicano, in parallelo con l’aumento della concentrazione di gas serra (il più importante è l’anidride carbonica, prodotto della combustione di fossili come il petrolio, il carbone e il gas). Proprio ieri la World Meteorological Organization - l’autorevole agenzia Onu del settore - ha diffuso il suo rapporto provvisorio per il 2012.
Cosa dice il rapporto 2012 del Wmo?
Molto semplicemente, dice che nonostante il benefico effetto «rinfrescante» de «la Niña» (un fenomeno che periodicamente si verifica sul Pacifico, con effetti globali), il 2012 si classificherà come il nono anno più caldo di sempre, da quando nel 1850 si è cominciato a registrare la temperatura media del pianeta. Dice che il periodo maggio-ottobre 2012 è stato uno dei più caldi di sempre. E dice che nell’anno che sta per finire si sono moltiplicati gli eventi meteo rovinosi, che hanno cominciato a interessare con maggior frequenza anche l’emisfero settentrionale del pianeta.
Ad esempio, guardando all’Europa e all’Italia?
Secondo i meteorologi del Wmo, quest’anno l’Europa ad esempio è stata interessata da un ondata di freddo particolarmente anomalo: il rapporto ricorda che certe aree del nord Italia hanno registrato il record dell’accumulo di neve negli ultimi cento anni. A partire da marzo è arrivata una primavera calda, seguita da un’estate segnata da ondate di calore che, per quanto riguarda l’Italia, sono state pesantissime, con danni alle coltivazioni e l’esaurimento delle riserve idriche. Per la Gran Bretagna il periodo aprile-giugno è stato il più piovoso da sempre, e in molte località anche italiane le piogge hanno registrato livelli record dal punto di vista dell’intensità.
E per quanto riguarda i cicloni e le trombe d’aria?
Per fortuna il bacino del Mediterraneo non è soggetto alla formazione di veri e propri cicloni di tipo tropicale, ma che sia in atto un cambiamento dalle potenzialità imprevedibili lo attesta quanto avvenuto negli Usa con il recente uragano Sandy. Dopo aver colpito, come di norma, l’area del mar dei Caraibi, ed essersi diretto verso nord in mezzo all’Atlantico, improvvisamente Sandy ha cambiato direzione, spostandosi verso lo stato di New York in modo decisamente anomalo. Ma come abbiamo visto ieri, sia sulla costa tirrenica toscana che a Taranto, fenomeni di questo tipo cominciano a manifestarsi anche da noi.
Dunque, anche l’Italia è a rischio.
Certamente. Come ha detto il ministro dell’Ambiente Clini, «bisogna essere pronti ora ad affrontare il peggio». Anche perché il nostro Paese è meno «resistente» ai fenomeni meteo estremi per colpa del dissesto idrogeologico e ambientale e dell’abusivismo, oltre ad essere densamente popolato e urbanizzato. Le aree più a rischio sono la costa adriatica fino a Ravenna, il Levante ligure, l’alta Toscana e la Maremma, la costa del Lazio e la Sicilia del Nord. Per Clini, riparare i danni ci costerà 3,5 miliardi l’anno; lavorare per limitare preventivamente i danni, invece, 2,5 miliardi per almeno vent’anni. Che vanno trovati.
La colpa è del riscaldamento globale. Cosa si può fare per limitarlo?
Smettere di bruciare fossili, cambiare i modelli produttivi e gli stili di vita. È possibile, ma molto difficile. Servono investimenti e la volontà di tutti per superare i potenti interessi economici che profittano dall’economia «fossile».