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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

SCUSI, DOTTORE, DAVVERO LE INTERESSA LA MIA STORIA

[Primo in Italia, un ospedale inserisce racconti e sentimenti dei pazienti in cartella clinica (e porta il teatro in sala operatoria). Risultato: le cure funzionano meglio] –
«Sono un persona chi ho sofritto totto per mio madre».
«Sono un persona chi solo ha mio madre».
Quando Saber arrivò all’ospedale S. Filippo Neri di Roma, era nervoso. Rifiutò le infermiere, aggredì gli assistenti sociali. «Sarà un disadattato, una di quelle teste calde in cerca di rogne», pensarono all’entrata. E chissà come sarebbe finita se il professor Vincenzo Loiaconi non avesse scoperto che Saber ha 17 anni. Che in Italia, dalla Tunisia, ci era arrivato 48 ore prima su un barcone senza dormire né mangiare per tre giorni. Che Saber qui è solo, ma è solo anche in Tunisia, dove la fidanzata lo ha appena lasciato e la madre sta male. E che ha una paura fottuta di affrontare da solo la sua malattia: «Una cosa dentro ho già rotto», come descrive lui la sindrome di Brugada, un’aritmia che provoca morte cardiaca improvvisa. Ma per fortuna il professor Loiaconi queste informazioni le ha trovate: scritte, nel suo italiano sgrammaticato, sulla cartella clinica.
Saber è uno dei primi cinquanta pazienti del nuovo laboratorio Letteratura e ­teatro in corsia. L’idea, di Rosalba Panzieri, ex paziente e scrittrice, è di introdurre in cartella clinica, oltre ai dati sullo stato di salute, esami e terapia, anche la storia del paziente, da che famiglia viene, che paure ha, i suoi sogni. Un progetto unico in Italia, il primo, che da febbraio, grazie all’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, arriverà in diverse strutture pubbliche «per umanizzare le terapie», spiega il consigliere nazionale Anmco Furio Colivicchi.
«Chi sei», chiede il modulo distribuito al paziente al momento del ricovero. «Raccontami qualcosa della tua vita che ti dà o ti ha dato gioia», prosegue: «Questo è un punto essenziale», spiega Panzieri: «Qualche giorno fa è arrivato un pensionato, doveva mettere il pacemaker. “Il giorno più bello della mia vita”, aveva scritto sul modulo, “fu il matrimonio di mia figlia”. Così l’anestesista, prima di addormentarlo, gli chiese: “Come era pettinata sua figlia sposa?”. Lui sorrise. Aveva fatto riaffiorare un pensiero positivo in un momento di stress come quello dell’anestesia. Cosa importantissima per la buona riuscita dell’intervento».
«Inserire in cartella clinica il profilo del paziente, oltre a essere una prassi innovativa in campo sanitario, consente al medico di capire in poco tempo le sue caratteristiche personali, sociali, psicologiche, è molto utile ai fini dell’assistenza», spiega Massimo Santini, direttore del Dipartimento cardiovascolare del San Filippo Neri. «In questo mondo così veloce, dove il ricovero dura tre-quattro giorni se no costa troppo», aggiunge il cardiochirurgo Loiaconi, «l’anamnesi rischia di ridursi alla ricostruzione della malattia: il paziente diventa un numero, letto 43 in attesa di ablazione. Ma se è lui a raccontarmi, scrivendolo, chi è, dove sta il suo dolore, scegliere la terapia mi è più facile». Anche il malato, così, si sente rassicurato e non finisce come Luciano: ricoverato a fine settembre per un infarto, alla domanda del modulo «Che rapporto hai con il tuo medico?», aveva risposto: «Non lo so, chi è il mio medico?».
Certo, c’è ancora tanto lavoro da fare, pensa Loiaconi: «In università mica ce lo insegnano come si entra nell’io del paziente». Eppure, se ci ha creduto lui, se ci ha creduto Santini, tra l’altro presidente della Società mondiale di aritmologia, un motivo c’è: «Le più grandi scoperte nascono dalla curiosità, a volte dal caso», conclude. «Prenda Fleming: voleva curarsi un raffreddore, ha scoperto la penicillina».