Riccardo Luna, Vanity Fair 28/11/2012, 28 novembre 2012
TRE BUONE RAGIONI PER NON FIDARSI DEL REDDITEST
Quando il potere politico usa Internet per dialogare con i cittadini è sempre una cosa buona. Epperò questo Redditest presentato in pompa magna dall’Agenzia delle Entrate non lo capisco.
Si tratta di un programma che chiunque può scaricare sul proprio computer per poi compilare un questionario con le entrate e le spese, ottenendo al termine un giudizio di congruità: ovvero, quello che spendi è congruo o meno con quello che dichiari al fisco. Il tutto senza che il fisco sappia quello che viene scritto sul modulo, ha giurato il direttore dell’Agenzia Attilio Befera. Giusto. Ma a chi serve?
Facciamo tre esempi. Secondo voi quelli che dichiarano zero euro (circa un milione di persone) hanno bisogno di fare il Redditest per sapere se stanno evadendo il fisco? No. E i tantissimi che invece pagano fino all’ultimo centesimo
perché dovrebbero farlo? Restano gli evasori parziali, quelli che omettono parte dei redditi. Questi dubito che scaricheranno il Redditest sul proprio pc, anche perché si è scoperto che anche rimuovendo il software i dati inseriti restano in memoria; ma potrebbero farlo i loro commercialisti. A che scopo? Per esempio, per aiutare i clienti ad aggiustare la dichiarazione dei redditi in modo da non essere beccati.
Insomma, visto che solo se le tasse le pagano tutti potremo pagare meno, spero che Befera non punti davvero le sue carte sul Redditest: sarebbe come sperare che i bugiardi corrano a fare la macchina della verità per poi diventare sinceri.