Marina Luzzi, Avvenire 29/11/2012, 29 novembre 2012
«CONTRO LA DIOSSINA NON BASTA ADEGUARE GLI IMPIANTI
In principio fu la diossina nel latte materno. Parliamo di qualche anno fa quando si scoprì, analizzando un campione di giovani mamme tarantine tra i ventotto e i trent’anni che il quantitativo di diossina presente nel latte era di venticinque volte superiore alla media nazionale. Ai tempi però la cosa venne archiviata come un inutile allarme, considerando che si trattava di indagini empiriche su un numero limitato di donne, commissionate da ambientalisti.
Di lì a poco però si scoprì che la diossina era anche nei formaggi e in tutti i tipi di sostanze grasse alimentari, fino ad arrivare ad avvelenare la catena alimentare. Ad oggi a Taranto sono stati abbattuti oltre duemila ovini e caprini risultati contaminati: capre e pecore che pascolavano in allevamenti a due passi dallo stabilimento siderurgico. Poi è toccato a migliaia di tonnellate di mitili.
Alessandro Marescotti è presidente di un’associazione che da anni si occupa di sensibilizzare la cittadinanza sui temi ambientali. Oggi dice la sua anche sul decreto legge che il governo varerà in questi giorni per risolvere la questione Ilva. «Anche se da atto amministrativo, l’Autorizzazione Integrata Ambientale si trasformasse in una legge, sarebbe comunque inefficace. Perché ci sia il dissequestro dei reparti da parte della magistratura occorrerà che non vi sia più pericolo per la salute dei cittadini e il pericolo si elimina solo mettendo mano agli impianti. Se l’Aia divenisse legge, lo stabilimento sarebbe fuorilegge perché nessuna reale modifica è stata apportata per adeguare gli impianti». Ma di ambiente a Taranto non si parla solo attraverso i faldoni o le ricerche. Si tratta ormai di un argomento entrato nel sentire comune, nei discorsi della gente, che ha imparato a conoscere cosa siano i policlorobifenili, o che fa un segno di croce quando si nomina il benzo(a)pirene. «A mia cognata hanno tolto l’intestino», «mia nuora ha disfunzioni alla tiroide...». Mentre stendono i panni, triste a dirsi e quasi inverosimile a credersi, non è del tempo o dei figli che parlano le massaie. Il loro è ormai solo un bollettino giornaliero di morti e malattie. Ce n’è una in ogni famiglia. Annamaria Moschetti, pediatra, sensibilizza sul tema dei veleni immessi in aria. «Nel 2010 sono stata dall’allora assessore regionale alla Sanità, Tommaso Fiore, per dirgli che i bambini di Taranto soffrono fin da piccolissimi di gravi problemi respiratori. Mi ha ricevuto, mi ha ascoltato, ma non ha mosso un dito. E la stessa cosa è accaduta quando sono stata a Roma per chiedere che non passasse la norma che permetteva l’emissione incontrollata di benzo(a)pirene. Era il 13 agosto del 2010 e insieme a Marescotti andai a informare la commissione Ambiente della Camera dei deputati e quella bicamerale per l’Infanzia. Fu un nulla di fatto anche in questo caso. L’Arpa poi rivelò che il 98 per cento di benzo(a)pirene presente nel capoluogo ionico era proveniente dalla cookeria dell’Ilva». Taranto però non è solo un polo siderurgico. A inquinare ci pensano anche Eni e Cementir, senza contare ciò che l’Arsenale navale ha lasciato sui fondali di Mar Piccolo.
Sembra che nulla si sia salvato in questo triangolo di pericolosi veleni. «Si sono ricordati di noi perché vogliono salvare l’acciaio - afferma amaramente Rina, mentre aspetta l’autobus che la riporterà a casa - . Ma di salvare l’agricoltura, l’allevamento, le cozze, non si è ricordato nessuno».