Marco de Martino, Il Messaggero 29/11/2012, 29 novembre 2012
IL MATCH CHE ROVINO’ IL CALCIO
Quando i fantasmi non se ne vogliono andare. Trent’anni di Prozac, frustrazioni e notti insonni, per poi un giorno arrivare a dire: «La vittoria dell’Italia contro il Brasile ai mondiali in Spagna del 1982 ha avuto un impatto negativo sul mondo del calcio che dura ancora oggi. Se avessimo vinto quella partita, ora il nostro sport sarebbe differente: invece da quel giorno tutti cominciarono a pensare un calcio fondato sul fallo sistematico e sulla distruzione del gioco avversario per ottenere il risultato a tutti i costi». Il dispensatore di questo concetto è un ragazzo di 59 anni che si chiama Arthur Antunes Coimbra. E che a quei tempi era Zico.
Non sarà una frase a cancellare la partita del secolo, Davide contro Golia, piccoli contro grandi, deboli contro potenti, ma insomma è come se tutto fosse stato congelato per trent’anni. Il Brasile aveva una squadra di nove marziani a cui si erano casualmente aggiunti il pupazzo-centravanti Serginho e il portiere-citofono Valdir Peres. Un gruppo di fenomeni ma narcisi, che tra samba e poesia finirono per perdere di vista il traguardo. Forse Zico si sente Gentile ancora aggrappato alla maglia, di sicuro nessuno potrà dimenticare la calamita umana Rossi che mette dentro tre gol, le magìe di Conti, Bergomi buttato in campo a 18 anni, Antognoni che lancia, Tardelli che scatta e le manone guantate di Zoff che da lì a tre giorni solleveranno la coppa.
«Quel 5 luglio il Brasile imparò a giocare a calcio - ha commentato Rossi - tanto che poi vinse due mondiali: Zico dovrebbe darmi un premio». «Fu colpa nostra - ha confessato invece Falcao - se ti guardi allo specchio non puoi giocare a pallone».