Giulia Zonca, la Stampa 28/11/2012, 28 novembre 2012
JARMILA E QUEL RECORD CHE RESISTE DA 30 ANNI “ORMAI VIVO CON LUI”
Il passato diventa più importante se ti ci aggrappi. Jarmila Kratochvilova è ancora attaccata agli Anni Ottanta, a un’atletica senza controlli che non ha mai messo in discussione, a un record diventato eterno che lei festeggia ogni anno.
Non è sempre stato così, il primato è diventato ingombrante con il tempo. Quando, nel 1983, la donna soprannominata carro armato ha fissato il cronometro degli 800 metri a 1’53"28 non si era neppure accorta di quel che stava facendo. Ha realizzato l’enormità del successo solo quando mezzo mondo lo ha messo in discussione.
Troppi muscoli, troppo veloce, troppo sospetto quel periodo finito in archivio con il doping di stato dell’est, con l’ormone selvaggio dell’ovest.
Ma i dubbi sono finiti in prescrizione. Trent’anni dopo ha poco senso analizzare i come e i perché, ogni epoca deve rispettare le sue regole e quel che resta vale. La corsa potente di Kratochvilova non ha ancora rivali e adesso che non deve più giustificarla lei se ne compiace: «È sempre una piccola gioia quando la stagione finisce e il record è ancora lì. Ho imparato a vivere con lui, so che prima o poi cadrà ma ogni anno mi ci affeziono un po’ di più. Lo celebro».
Non è difficile immaginarla rintanata a Caslav, la città dove allena ragazze più libere di lei. Campagna pura, 80 km a sud est di Praga, sarà lì, sopra la pista di casa il 26 luglio, il giorno in cui la sua impresa compie 30 anni: «Nel 2008 mi sono accorta che Pamela Jelimo mi stava arrivando vicino e ho pensato: manca poco e mi prende. Poi è passato l’attimo, la keniana è rimasta a distanza e a questo punto al compleanno ci tengo. Spero proprio che nessuno riesca a battermi almeno fino a lì». Il concetto di vicinanza è relativo, Jelimo alle Olimpiadi di Pechino ha corso gli 800 in 1’54"01 e in realtà il secondo miglior tempo della storia su questa distanza appartiene ancora a chi c’era prima di Kratochvilova, al record del 1980 della russa Nadezhda Olizarenko (1’53"43). Davanti alle classifiche Jarmila sorride, si sente la più forte, per distacco: «Sono felice che quel che ho fatto acquisti peso a ogni mese che passa, è il motivo per cui sono rimasta in questo mondo. Da tecnico ho avuto anche un paio di atlete importanti, come Ludmila Formanova, oro ai Mondiali 1999 e non me ne sono mai andata dalla città dove sono nata, 10 mila abitanti e tutto quel che mi serve. Ho ancora voglia di spingere i giovani in pista». Sempre Anni Ottanta, ancora atleta di stato, tanto che davanti a un paragone con Martina Navratilova, altra icona della Repubblica Ceca, si infastidisce un po’: «La ammiro, ci siamo anche incontrate, ma io non lascerei mai il mio Paese. E non avrei mai scelto un’altra nazione al posto della Cecoslovacchia».
Si capisce che fuori dal suo microcosmo si sente a disagio e si mimetizza tra le leggende che per giorni hanno festeggiato a Barcellona i 100 anni della federazione. Defilata al party ufficiale, assente alle premiazioni, nascosta dietro all’interprete e imbarazzata per la leggera zoppia che non ha voglia di motivare: «Un vecchio incidente sugli sci da fondo». Non fornisce dettagli, tira il ciuffo irregolare e un po’ punk, unico vezzo di un profilo squadrato, struccato, asciutto. Le altre glorie si sono separate dai risultati che le hanno rese famose, lei invece difende quegli 800 metri e si rende disponibile a un confronto con le nuove generazioni solo davanti al nome di Caster Semenya: «Ho guardato con attenzione Caster, è una delle candidate a battere il mio record. Sarebbe stato impossibile per chiunque tirarsi fuori dalla situazione in cui l’avevano messa dopo il titolo mondiale vinto a Berlino. A Londra ho fatto il tifo per lei».
Per il titolo non per il primato che ha curato a d i s t a n z a , «Magari il 2013 sarà l’anno in cui cade, solo che è durato così tanto che ora sembra debba resistere per sempre». Come i segreti e i sacrifici di quegli anni, ormai cancellati da una vita di lavoro. In solitaria, sulla pista di casa. Come se non fosse mai cambiato nulla.