Francesco Spini, la Stampa 28/11/2012, 28 novembre 2012
POLIZZE PRIVATE E CLINICHE LOW COST LE STRADE ALTERNATIVE
La sfida è aperta: trovare un’altra gamba di sostegno al traballante sistema sanitario pubblico. Gli italiani, con le loro tasche, fanno già da stampella: il 25% della spesa sanitaria è pagata privatamente dalle famiglie. Rispetto a un totale pari al 9,1% del Pil, la spesa privata vale l’1,67% del Pil, oltre 30 miliardi: il 55% delle visite ambulatoriali è pagato privatamente, soprattutto a causa delle infinite liste d’attesa. Ma meno del 10% è coperta da polizze assicurative. Già: grandi assenti, rispetto ad altre esperienze estere, sono le assicurazioni. Oggi le polizze, come spiega Dario Focarelli, direttore generale dell’Ania - l’associazione che riunisce le compagnie assicurative - «sono spesso associate ai contratti collettivi di lavoro di alcune categorie. Permettono per lo più una maggiore rapidità di accesso ad alcuni tipi di prestazioni, coprono cure odontoiatriche, fornitura di occhiali e simili». Il 5,5% delle famiglie ha una polizza sanitaria. Ma per svilupparsi oltre manca la sufficiente chiarezza. In Francia, con le debite esenzioni, i ticket sono proporzionali al costo delle prestazioni. Ed è facile per l’assicurazione intervenire per colmare la differenza. In Germania, a certe condizioni, c’è la possibilità di lasciare il sistema pubblico. «In Italia - sottolinea Focarelli - le prestazioni che dovrebbero essere identificate attraverso i Lea, i livelli essenziali di assistenza, sono spesso incerte perché le Regioni spesso non dicono con chiarezza cosa il servizio pubblico copre e cosa no. Occorre definire il ruolo dello Stato e quello dei privati prima di poter costruire delle coperture assicurative davvero integrate con il sistema pubblico». Secondo gli assicuratori non resta che guardare agli altri Paesi o ipotizzare interventi sul tipo di copertura, inserendo ad esempio massimali o franchige per la diagnostica. Il punto, osserva Francesco Longo, ricercatore del CergasBocconi, è che in un sistema «formalmente universalistico», l’assicurazione «non sa bene qual è l’oggetto da assicurare». Se assicura tutto, costa moltissimo. Costa poco, invece, se si limita a poche prestazioni «ma la gente non la prende perché non vede vantaggi».
Secondo il docente della Bocconi non è nemmeno detto che l’assicurazione «che pone problemi in termini di equità» sia il modello migliore. Ciò che conta, anzitutto, è un sistema che «non frammenti il sistema sanitario, aumentando duplicazioni e spese inutili». I soldi si possono raccogliere «con fondi aziendali o assicurativi legati ai contratti di lavoro», rischiando però di «lasciar fuori precari o partite Iva». Longo preferisce fondi di scopo «magari para pubblici, se non regionali» dedicati «ad esempio alla sola odontoiatria e alla non autosufficienza», che rappresentano il 20% della spesa e per cui a ogni cittadino potrebbe essere chiesto un contributo, a seconda del reddito. Questo «permetterebbe di avere un gruzzolo aggiuntivo che copre l’80% di quanto oggi è pagato privatamente dalle famiglie». Nel frattempo si sta sviluppando anche una sanità privata parallela, che punta a ampliare l’offerta senza salassi per i pazienti. Ad esempio al Centro medico Sant’Agostino di Milano, spiega il presidente Luciano Balbo, «cerchiamo di erogare servizi laddove il Servizio sanitario nazionale è più debole: dalle visite specialistiche di primo livello, alla fisiatria, dalla fisioterapia all’odontoiatria. La filosofia? Bassi prezzi e alta qualità». Una visita a 60 euro si può fare, «puntando sui volumi, senza rinunciare a medici d’eccellenza». La cosa sembra funzionare: oltre 30 mila utenti in 3 anni, mille in più ogni mese. E quest’anno il fatturato sale del 40%.