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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

SANTI, CRIMINALI E IMPERATORI: VIAGGIO AI CONFINI DELLA NOTIZIA

«Da due giorni correvamo nel deserto e Aleichem non aveva ancora smesso di cantare. Cantava in russo, la sua lingua, cantava in rumeno, la lingua di sua moglie, cantava in tedesco, cantava canzoni italiane, nenie arabe, inni di guerra israeliani, pezzi d’opera francesi, fischiava marce austroungariche».
In quasi settant’anni di (grande) giornalismo, Angelo Del Boca ha incontrato peregrinando per il mondo principesse e imperatori, despoti e statisti, santi e guerriglieri che hanno segnato un secolo. Eppure, il libro che esce in questi giorni riassumendo in qualche modo la sua vita avventurosa e densa, Da Mussolini a Gheddafi. Quaranta incontri, regala qua e là anche piccole ma indimenticabili figure di uomini e donne, come appunto quell’autista che nel 1958 lo scarrozzò di kibbutz in kibbutz in giro per il Negev o Francesca Strada, l’ultima maestra del «villaggio Marconi» in Tripolitania, o madame Baussoley che pettinava le ventidue mogli e concubine di Maometto V del Marocco, esule in un grand hotel di Ile-Rousse in Corsica, o il medico ebreo Rinaldo Laudi che curava i partigiani, fu catturato dai tedeschi senza armi, solo con la valigetta da dottore, e sparì nel nulla accompagnato da una leggenda sinistra: «Sarebbe stato murato vivo, in uno spazio angusto, in modo che morisse in piedi. Particolare terrificante: nel vano, insieme al suo corpo, sarebbero stati murati anche alcuni gatti selvatici».
Erano da spavento, alcuni degli uomini che Del Boca ha incrociato in decenni da inviato. Come il fanatico Akao Bin, che scatenava i suoi adepti armati di pugnale contro i leader della sinistra giapponese e accolse il giornalista, tutto solo perché perfino l’interprete si era rifiutata di partecipare all’incontro, dichiarando la sua fede nazifascista sotto i ritratti di Cristo, Confucio, Maometto e Buddha. O Adolf Eichmann, il pianificatore dell’Olocausto, che aveva l’aria di «un pallido signore, con gli occhiali dalla montatura pesante e una calvizie da intellettuale» e seguiva il processo che l’avrebbe condannato a morte torcendosi nervoso le mani. O ancora il dittatore vietnamita Jean Baptiste Ngo Dinh Diem che aveva sistemato in tutti i posti chiave moglie e fratelli e parenti. O vari satrapi africani dai profili inquietanti.
Per non dire di Muammar Gheddafi, che una quindicina d’anni fa, nonostante Del Boca fosse stato il primo a denunciare in diversi libri documentatissimi i crimini di guerra compiuti dai nostri soldati in Libia per ordine di Rodolfo Graziani, gli concesse un’intervista infliggendogli un’attesa interminabile: quattordici giorni in albergo ad aspettare, da un momento all’altro, una telefonata con la convocazione sotto la tenda a Bab al-Aziziyyah.
Tra le altre, spiccano le interviste ad Hailè Selassiè, il 225° imperatore d’Etiopia discendente in linea diretta da re Salomone, e poi a suo cugino Immirù Haile Sellase. Il primo, «antico, per sangue, come Ninive e Babilonia» e col «petto coperto da dodici file di decorazioni e dalle mostrine rosse con le spighe d’oro», lo accolse con un sorriso che pareva scusarsi del cerimoniale: «L’ospite varcherà la soglia e farà un primo inchino, poi, camminando sulla passatoia rossa, si porterà a metà circa del salone e lì farà un secondo inchino, e infine un terzo nell’atto di ricevere la stretta di mano del Negus Negast».
Il secondo gli raccontò di quando era miracolosamente scampato a un bombardamento chimico italiano, vietato dalle convenzioni internazionali, spiegando che gli aerei sganciavano «strani fusti che si rompevano in aria o appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore» e che gli uomini investiti dagli spruzzi «urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati nel fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».
Su tutti, nel libro, si stagliano gli incontri col grande Jawaharlal Nehru, che si lagnava del popolo americano perché «parla solo di denaro» e spronava l’India a cambiare, attaccando invariabilmente «la religione, che rende schiavi» e «l’astrologia, che è uno stupido non senso», e spingendosi a strattonare quelli che faticavano a seguirlo sulla strada della modernizzazione: «Voi vivete fra le vacche, nel loro sterco, e ragionate con una mentalità da sterco di vacca».
E poi ecco il leggendario dottor Albert Schweitzer, che a un certo punto della sua vita di precoci successi aveva mollato tutto per andare a metter su un ospedale a Adolinanongo, nel Gabon, ed era premurosamente assistito da «venerabili e ossute infermiere tedesche» e «continuava a trattare gli africani come eterni fanciulli» e «a raccogliere aneddoti per i suoi libri, che sembravano scritti al tempo di David Livingstone».
Forse nessuno, però, ha il fascino di madre Teresa di Calcutta: «Com’è piccola e magra. E com’è liso il suo sari bianco orlato di azzurro. Se non portasse il piccolo crocifisso sopra il cuore, potrebbe essere scambiata per la più povera delle donne…». Spiegava: «Qualcuno mi ha detto, in una certa occasione, che neppure per un milione di dollari si azzarderebbe a toccare un lebbroso. Ho risposto che neppure io lo farei. Se fosse per denaro, non lo farei nemmeno per due milioni di dollari. Invece lo faccio volentieri, gratuitamente, per amore di Dio». Quel giorno, dopo aver passato ore accanto alla Santa immerso in quella umanità sofferente «scattando fotografie di quello spaventoso esercizio di pietà», Angelo Del Boca scrisse un articolo dall’incipit strepitoso: «Sono le prime luci dell’alba e vedo i “cadaveri” alzarsi dai loro giacigli di pietra, sbarazzarsi dello straccio che portano intorno alle reni e andare alla più vicina fontana, dove si lavano versandosi addosso l’acqua con una ciotola di cotto. Il sole li asciuga all’istante, ed eccoli di nuovo pronti a camminare per questa sterminata città, per creare quel fiume ininterrotto che per l’intero giorno la terrà mostruosamente viva...»
Gian Antonio Stella