Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 28/11/2012, 28 novembre 2012
T-SHIRT E GADGET IN RETE È IL «BRAND» PUSSY RIOT
Due sono in carcere e la terza in libertà vigilata. Ma il loro nome e il loro marchio stanno scatenando gli appetiti (legittimi e no) di molti in tutto il mondo. Il nome delle tre ragazze condannate per aver manifestato contro Vladimir Putin in una chiesa è ormai uno dei brand più riconoscibili al mondo e le magliette con su scritto Pussy Riot vanno come il pane. Su Internet, sulle bancarelle di Mosca ma anche di Londra o New York. E non solo le magliette, visto che ci sono già i libri e i dvd. Ma a chi vanno i quattrini? Le tre ragazze condannate non hanno registrato il nome e quindi non esiste alcun copyright e non c’è nessuna certezza sulla destinazione dei fondi. Certo, le magliette vendute su Amazon Usa da Amnesty International porteranno denaro a qualche buona causa.
Ma le altre? Il caso più clamoroso di queste ore è quello della cantante Madonna che già prese posizione a favore delle ragazze nell’esibizione che tenne a Mosca mesi fa. Ora ai suoi concerti e sul suo sito vende magliette di sostegno alle Pussy Riot per 19,95 dollari. La sua addetta stampa assicura che l’iniziativa è frutto di una intesa con i legali e con «le ragazze che sono in libertà». Ma Yekaterina Samutsevich, l’unica che non è in una colonia penale, assicura di non saperne nulla: «Nessuno ha concordato nulla con me, con Nadia o Masha», ha dichiarato al Moscow Times. Anche la cantante islandese Bjork ha contattato le ragazze per poter mettere in vendita magliette con il loro nome e destinare poi i profitti al pagamento delle spese legali delle tre Pussy Riot. Ma l’accordo non è ancora stato raggiunto.
Un’altra questione è nata con uno degli avvocati del gruppo, Mark Feigin, che ha recentemente lasciato il collegio di difesa. Nelle scorse settimane Feigin aveva tentato di registrare il nome in Russia tramite una società che appartiene alla moglie. Lui dice che era l’unico sistema per proteggere l’uso del marchio, cosa che aveva concordato con le ragazze. Ma Katia ha dichiarato di essersi sentita tradita e dice di non voler avere nulla a che fare con registrazioni e trade-mark: «Fermate qualsiasi registrazione, fermate tutto! Sono disgustata da questa vicenda, dai soldi e dal brand. I soldi sono sporcizia; io ho bisogno di libertà, e non per me ma per la Russia». A Mosca, in ogni caso, l’organismo preposto alla protezione dei marchi, Rospatent, aveva rifiutato la registrazione.
Così la mercanzia che si rifà al trio che è appena entrato nella lista delle possibili «persone dell’anno» del settimanale Time prospera. Una casa editrice russa, la Algoritm, ha addirittura messo in vendita un libro firmato da Nadezhda Tolokonnikova. Solo che non aveva alcuna autorizzazione e aveva semplicemente messo assieme testi presi dai blog. Ha fatto marcia indietro, chiedendo scusa.
Le Pussy Riot sono arrivate anche nella sitcom a cartoni animati «South Park», dove uno dei personaggi è apparso con una maglietta «Free Pussy Riot». E su Amazon: il sito americano vende a 9,95 dollari un libro del quale vengono indicate come autrici le Pussy Riot (in realtà è un collage di discorsi, poesie, eccetera); una maglietta di Amnesty International a 14 dollari e varie altre magliette di produttori non meglio identificati a 15 o 17 dollari. Il famoso rock club Cbgb di New York vende una maglietta limited edition, sempre su Amazon, a 24 dollari. Ma non è chiaro a chi andranno i soldi.
Sul sito italiano della società americana si vende a 10,20 euro un instant-book del Saggiatore realizzato da una organizzazione che si definisce no-profit (Feminist Press) e che sostiene di «aver lavorato direttamente con le componenti della band». Poi libri in francese e tedesco e musica per Mp3.
Se le ragazze non vogliono proteggere il loro nome, c’è chi sta tentando di farlo pur non avendo nulla a che fare con le Pussy Riot. Secondo gli avvocati sono in corso richieste di registrazione da parte di sconosciuti in Estonia, Svizzera e Gran Bretagna.
Fabrizio Dragosei