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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

LE SPOSE SIRIANE IN VENDITA PER I RICCHI ARABI


Le chiamano «spose a basso prezzo». Mogli bambine, facili da trovare, facili da portare via, con le famiglie disposte a tanto pur di veder migliorate anche solo di poco le loro disastrose situazioni economiche nei campi profughi sempre più gremiti e disperati lungo il confine. Il mercato è fiorente e in crescita. Tanti tassisti di Amman ormai si sono industriati. Attendono i ricchi sauditi e dei Paesi del Golfo all’aeroporto o di fronte agli hotel a cinque stelle. Basta poco per capire cosa vogliono. «Le donne siriane piacciono nel mondo arabo. Sono chiare di pelle in un parte del globo dove il sole abbronza e invecchia troppo in fretta, alte, gli occhi grandi», raccontano gli attivisti locali per la difesa dei diritti umani a Cassandra Clifford, nota militante americana per le garanzie dei più deboli e fondatrice dell’organizzazione umanitaria «Bridge to Freedom Foundation». Costano poco, bambine di 15 o 16 anni cedute dalle famiglie appena sfuggite agli orrori della guerra civile per cifre che possono restare nei limiti dei 1.000 o 2.000 euro. Una quisquilia, noccioline per gli uomini d’affari del Golfo. Sono abituati a spendere ben di più. Una notte in compagnia di prostitute ucraine in un albergo a Dubai può costare anche il doppio.
Non stupisce che il fenomeno sia in crescita. E’ una costante che perseguita le vittime di tante tragedie umanitarie. Avveniva con i profughi afghani fuggiti in Pakistan, con gli iracheni che nel pieno dei massacri del 2005-2007 cercavano rifugio tra Damasco e Amman. Ma per le donne siriane il calvario delle spose bambine colpisce ancora di più perché i massacri tra Damasco, Aleppo, Homs e i villaggi di confine sono tutt’ora in atto, e anzi continuano a crescere. All’interno del Paese gli sfollati potrebbero sfiorare i cinque milioni. L’Onu segnala quasi 500.000 espatriati soprattutto in Turchia, Iraq, Libano e Giordania. Ma sembra che proprio in quest’ultimo Paese le ragazzine siano date in sposa con maggior facilità. Il Washington Post segnalava in un recente reportage dal campo profughi di Zaatari che sarebbero le stesse organizzazioni umanitarie locali a favorirlo. «Questo non è sfruttamento. Questa è generosità», dichiara Ziyad Hamad, la cui associazione caritativa, Kitab al-Sunna, si prodiga in aiuti tra tende e baracche di fortuna. Pare che alle famiglie che oppongono resistenza alla prospettiva di cedere le figlie a perfetti sconosciuti, vengano offerti sino a 4.500 euro, una fortuna per chi non ha più neppure gli spiccioli per il pane. «Ovvio che preferirei un marito siriano per mia figlia. Ma cosa possiamo fare?», spiega Abu Yousef. La figlia è vedova, ha 27 anni, tre bambini. Il marito è stato ucciso dai lealisti del presidente Bashar Assad. Così alla fine hanno accettato che se ne vada con un ingegnere saudita in pensione di 55 anni. Le Nazioni Unite denunciano che il mercato delle spose siriane si sta allargando sulla rete. I siti specializzati arabi sono prodighi di offerte e dettagli. Ma c’è anche chi si oppone. «Solo perché abbiamo perso le nostre case questi pensano che possano prendersi le nostre donne. Ma si sbagliano di grosso», dice combattivo Ibrahim Naimi, 42 anni, proprietario di un piccolo caffè nella città di tende. Ancora più decisi a contrastare il fenomeno sono i profughi in Turchia. «Qui non siamo come in Giordania. I campi profughi sono sorvegliati dalla polizia turca e da nostre sentinelle locali. I papponi non possono entrare. Guai a loro!», dice al Corriere, Nahel Gadri, attivista rivoluzionario di Eriha sfollato nella città turca di Latakia.

Lorenzo Cremonesi