Alessandra Retico, la Repubblica 28/11/2012, 28 novembre 2012
IL BOOM SI FERMA QUI IL CALCIO NON È UNO SPORT PER SIGNORINE ITALIANE
Le brave ragazze non giocano a calcio. Se lo sognano Beckham, figuriamoci Messi. Le migliori diventano al massimo Carolina Morace: una dilettante. Non è previsto che diventi mestiere, una professione, il calcio per signore. Non pagano le femmine, non producono quattrini le donne con gli scarpini. In Italia, poi, chi ci crede: è una specie di tabù, e un’impresa che non vale la pena. Soltanto trecento le società di calcio in “rosa”, contro le 5486, per dire, in Germania. Perché? Per cultura, certo, da noi il calcio è maschio, conservatore, tradizionalista. Ma anche perché mantenere in vita un progetto per bambine costa troppo e dà solo grane: dove sono gli spogliatoi differenziati? Alle cose semplici nessuno pensa. Le poche imprese sul territorio nascono e muoiono. Troppi oneri fiscali e spese: tesseramenti, visite mediche, iscrizioni a campionati e tornei. Non offrono garanzie alle famiglie, spesso falliscono in un anno. Alla fine, il calcio femminile rimane dilettantistico, una sotto categoria federale dove, neanche a dirlo, non c’è manco una donna al comando. E il numero delle aspiranti in pantaloncini calano col crescere dell’età, di anno in anno: dai 5 ai 19 anni sono 13.539 le tesserate alla Federazione giuoco calcio, che affida alla Lega nazionale dilettanti la gestione del calcio femminile. Appena l’1,6 per cento le iscritte rispetto ai coetanei (835.414). I maschi superata la pubertà possono avere un futuro. Da professionisti e magari campioni. Le sorelle restano a casa a guardare la tv.
Ma c’è un altro modo di guardare alle cose. Gli ultimi mondiali in Germania, nel 2011, sono stati seguiti da 800mila spettatori negli stadi (26mila per match) più di 17 milioni davanti al piccolo schermo. Berlino comanda e la signora cancelliera Merkel, di cui è nota la passione anche per la nazionale maschile, non ha fatto differenze. Era lì a tifare. La federazione tedesca ha investito già dal 2006 iniziando dalle scuole elementari. Così adesso ha 734.903 calciatrici iscritte, 342.312 sotto i 16 anni che giocano nei club: una
crescita del più del 10 per cento nell’ultimo anno. Evoluzione della specie. Nei paesi del nord soprattutto, e non a caso: lo sport non è mai slacciato dal sociale, emancipazione femminile e politiche di pari opportunità fanno del calcio un posto per tutti. C’è la
Norvegia con 110mila tesserate dopo la regina tedesca, seguono Svezia (89.980), Inghilterra (89.640), Olanda (81.993), Danimarca (77.889). Più a sud, nel paese che da qualche anno investe sullo sport un po’ in tutti i campi, c’è la Turchia con 63.513 calciatrici.
Vicino a noi la Francia (58.350), ma con le partite di A trasmesse in diretta. L’Italia è al 13esimo posto (22.743 calciatrici) della classifica europea, un’inezia rispetto alla popolazione totale visto che Svizzera, Belgio e Repubblica Ceca hanno più o meno lo stesso numero
di iscritte. Le azzurre dietro con Spagna (21.609), Grecia (3.410) e Portogallo (1.743). Ma se allarghi il mondo non c’è solo la brasiliana Marta, piedi alla Pelè, ma 29 milioni di donne che giocano a calcio, compresi i paesi che non diresti: i mondiali in Germania li ha vinti il Giappone, battendo in finale gli Stati Uniti. Nuove frontiere fanno gol.
L’Italia invece fa catenaccio. Difende i propri limiti e il sistema chiuso. Eppure la domanda ci sarebbe e le iniziative virtuose pure, specie nel settore giovanile scolastico della Figc. Centomila euro quest’anno nel budget di 1.7 milioni per finanziare i centri per lo sviluppo del calcio femminile. È successo e va benissimo a Torino, in collaborazione con l’ente locale, le famiglie e le scuole elementari e medie. Per alimentare i tornei per giovani calciatrici e per le
under 15 regionali. Poi le buone pratiche: ogni anno il Grassroots Festival al centro tecnico federale di Coverciano, partecipano le scuole calcio e le migliori società. E l’iniziativa Calcio+, uno stage di una settimana per le under 15 regionali, le migliori possono finire in nazionale. Le migliori intenzioni alla base. Dal 2009 la Figc ha sottoscritto con la Uefa la
Grassroots Charter,
una carta di impegni e requisiti da soddisfare nel-l’attività giovanile (sviluppo della filosofia e della cultura del calcio base, formazione di tecnici e dirigenti) per ottenere l’eccellenza. Non possono concederla, troppe poche signorine. Si innamorano del pallone, poi a 14 anni lo lasciano. Roba per maschi, anzi per maschiacci. Chi va avanti è cocciuta, in Serie A non si guadagna neanche mille euro al mese, e in genere 500. Se sei la più brava, hai pure un tetto allo stipendio: 26.500 euro netti. Poche allenatrici nella massima serie, quattro su sedici, Antonio Cabrini sulla panchina della nazionale. Non è un paese per donne, specie se vogliono fare gol.