Ferdinando Camon, Avvenire 28/11/2012, 28 novembre 2012
BAMBINA LEGATA COME UN CANE
Davanti alla sala giochi c’è un’inferriata, la madre vi lega la sua bambina con un guinzaglio, così può entrare e fare la sue scommesse, sicura che quando esce la sua piccola è ancora lì. La bambina è vestita bene, giacca di lana, sottane lunghe, calzettoni vivaci, scarpe sportive. È bionda, capelli ricci, in ordine. È nervosa, finché è sola cerca con una manina di sciogliere la corda, non ci riesce, allora armeggia con ambedue le mani, niente da fare. Una signora che passa di lì si ferma perplessa e guarda a lungo, ma non può intervenire. Qualcuno riprende la scena in una sequenza fotografica. La sequenza dura alcuni minuti, la piccola ora ci volta la schiena ora la faccia, girandosi per districarsi. Le foto giungono al giornale Sun , che le pubblica. Siamo a Bognor Regis, sulla Manica. Adesso la scena corre su Internet col titolo «bimba legata come un cane».
Titolo pesante. Eppure, siamo proprio sicuri che sia adeguato? Siamo sicuri che quella madre, se avesse un cane, per entrare e fare le scommesse, lo legherebbe fuori dalla porta? Potrebbe tenerlo con sé, come sempre quando passeggia. Dunque, questa bimba non è «trattata come un cane», ma «peggio di un cane». La sequenza, dicono i commenti, mostra quanto poco amore materno abbia questa madre. Non è l’interpretazione giusta.
Questa madre ha due amori, la figlia e le scommesse. E si distribuisce fra i due: quando sente il richiamo del secondo, abbandona il primo. Dunque, questa è una prova della ’dipendenza dal gioco’, che in certe occasioni supera la dipendenza dai figli. Il gioco è una droga.
L’astinenza dalla droga, da ogni droga, è terribile, esige di venir colmata subito.
Dostoevski ha scritto un libro sulla dipendenza dal gioco, intitolato ’Il giocatore’. Lui sapeva bene che il gioco dove si può vincere (e si può perdere) ha una seduzione irresistibile, chi la sente non sente nient’altro. In questa sala giochi britannica si può vincere o perdere molto denaro, come in tutte le sale scommesse, e in Italia in questi giorni abbiamo saputo che la padrona di una sala giochi ha spento le ’macchine’ quando ha visto che c’era chi si rovinava: si rovinano, ma non riescono a smettere, la dipendenza annebbia l’intelligenza e la volontà. Il film ’Il cacciatore’ termina con le scene delle scommesse alla roulette russa: si può vincere tanto denaro, ma ci si può lasciare la pelle. L’amico di De Niro ha bisogno di quel denaro per aiutare un compagno d’armi che la guerra ha invalidato. Rischia di morire ogni volta che gioca, ma, finché la scampa, continua. Il rischio è di piantarsi una pallottola in testa con una pistola a tamburo, in cui nel tamburo sono stati levati tutti i colpi, tranne qualcuno. Se tiri il grilletto quando sotto il percussore c’è il colpo buono, il cervello ti va in frantumi nel tuono dell’esplosione.
Se sotto il percussore non c’è il colpo, senti il clic del percussore che scatta a vuoto. Questa ebbrezza del ’sono o non sono’ ha contagiato gli spettatori, quando il film è uscito s’è diffusa nel mondo un’epidemia di imitatori. Ora è un fenomeno vecchio, chi l’ha superato non può credere di averlo patito. Si può ammirare ’Il cacciatore’ senza spararsi in testa. Omero lo sapeva otto secoli prima di Cristo: Ulisse vuol capire cos’è il canto delle Sirene, ma non restarne ammaliato e finire sfracellato con la sua nave. Perciò si fa legare. Sente il canto, vorrebbe fermarsi, ma non può, e intanto si allontana e va fuori pericolo. La cronaca della «bambina legata come un cane» non dice se questa signora britannica abbia vinto molto o poco o niente: ma se la piccola conserverà memoria di questa scena, la madre ha perso il meglio che aveva, per sempre.