Daniele Bellasio, IL 11/2012, 28 novembre 2012
PIÙ INGEGNERI PER TUTTI È LA RICETTA PER L’INNOVAZIONE
Il concetto è che per la "fase due" nel rilancio dell’Italia, quella del ritorno alla crescita, si spera, servono più ingegneri, più architetti, più designer: più "politecnici". Per carità, non per antipatia nei confronti degli economisti, dei professori della Bocconi, anzi, Dio ce li conservi a lungo e in forma. Ma perché l’economista è un tecnico "difensivista": sa organizzare al meglio un catenaccio contro lo spread, usa gli schemi, cerca di applicare in campo dei modelli, chiude i buchi di fronte agli attacchi della speculazione e sa mettere sul terreno di gioco la formazione migliore, ovviamente rispettando il fair play finanziario. Mentre un ingegnere è un tecnico "offensivista" perché sa immaginare e creare le famose ripartenze, cioè va oltre i modelli, semmai ne crea di nuovi, allo schema per organizzare al meglio ciò che c’è già preferisce il progetto di qualcosa di nuovo. Ecco, sacchianamente dobbiamo andare all’attacco.
In realtà, non è nemmeno corretto parlare soltanto degli ingegneri, l’obiettivo giusto sarebbe "un esecutivo di politecnici", per vedere uno spettacolo calcistico più spumeggiante a proposito di Pil e dintorni, innovazione e bel fare. Immaginiamoci un programma politico e di Governo che sia esattamente quello che c’è scritto su www.polimi.it, ovvero: Architettura, Design, Ingegneria. In rigoroso ordine alfabetico e non gerarchico, sia mai. Non è perfetto per il nostro Paese? Pensiamoci.
Un tempo, diciamo nel secolo scorso, si diceva: "Quello che va bene per la Fiat, va bene per l’Italia". Oggi, invece, pare malauguratamente che Fiat e Italia siano soggetti in qualche modo in concorrenza tra loro, e non è affatto bene. Proviamo a ripensare e a riscrivere quella frase. Oggi la Fiat, salvata dalla bancarotta da Sergio Marchionne, di formazione giuridico-economico-filosofica, ha bisogno per ripartire anche di Architettura, Design, Ingegneria. E così l’Italia. Diciamo che siamo tutti sulla stessa auto, tanto per capirci. E che cos’erano Enzo Ferrari e Vittorio Valletta? Esatto, ingegneri, proprio come Camillo e Adriano Olivetti, a loro modo precursori di Steve Jobs.
Eppure noi italiani tendiamo un po’ a dimenticarci di loro, degli ingegneri, e loro, "i politecnici", tendono a sentirsi degli strani italiani, un po’ stranieri in patria. Certo, sappiamo che il Politecnico di Milano a proposito, auguri di buon compleanno – è una delle (purtroppo) poche eccellenze tricolori che ci rimangono (48° al mondo nella categoria Engineering and Technology secondo la QS World University Rankings 2012/13), ma li viviamo, gli ingegneri soprattutto, più degli architetti e dei designer, come distanti dal cuore umanista, creativo, artistoide del nostro stellone. E sbagliamo.
Certo, ci ricordiamo che ai tempi dell’università quelli che uscivano di meno, quasi mai per la verità, e studiavano sempre e vivevano Analisi I, II e III come l’ordalia trinitaria della loro esistenza erano loro, gli ingegneri, ma poi da grandi, nella vita politica e culturale, ce ne dimentichiamo spesso. E in politica? E in Parlamento? Figuriamoci, ce ne sono pochissimi.
Certo, sappiamo che Leonardo – Architettura, Design e Ingegneria, appunto – ha tentato tutta la vita di volare con macchine straordinarie da vedere al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, ma poi ci ricordiamo di lui soprattutto per il Cenacolo, che non è tanto distante dalla sede del "Must", sempre a Milano. E chi invece ci è riuscito, a volare, l’ingegner Enrico Forlanini, ci viene in mente soprattutto per il grande parco vicino all’aeroporto, eppure la sua immagine giustamente campeggia davanti all’aula magna del Polimi.
«Gran professione quella dell’ingegnere! Con l’aiuto della scienza ha il fascino di trasformare un pensiero in linee di un progetto per realizzarlo poi in pietra o metallo o energia. Quindi creare lavoro e case per gli uomini elevando il tenore di vita e aggiungendone conforto», e non lasciamoci ingannare dal fatto che queste parole sono di Herbert Hoover, super ingegnere che salvò il Belgio da una feroce carestia e sfortunato presidente degli Stati Uniti dal 1928 al 1932: già, gli anni della grande crisi. D’accordo, di questi tempi si porta meglio una citazione di Franklin Delano Roosevelt, avvocato, ma Hoover in questo aveva ragione da vendere e poi: come egli stesso spiega, «il verdetto dei suoi colleghi», per un ingegnere, «è il solo titolo d’onore che egli desidera» e le sue opere saranno sotto gli occhi di tutti – questo davvero conta – anche se «qualche politico avrà posto il suo nome» sopra.
Opere? Quali opere? Attorno al Politecnico (e al suo Acceleratore d’Impresa), per esempio, si cerca il petrolio via satellite, si tenta di decodificare l’epigenoma, si elaborano le gomme del futuro, si sviluppano applicazioni Facebook che suggeriscono "consigli" in base a quello che dicono gli amici, come la premiata (al TechCrunch Italy) Facebook Therapist. Oppure si progettano ombrelli, elastici e robusti, in sostanze completamente riciclabili. Oppure si sviluppano software e servizi per l’ottimizzazione dei sistemi informatici o si progettano portali di aziende ultravveniristici. Oppure si creano applicazioni interamente web per la gestione della documentazione clinica ospedaliera. Oppure si è leader mondiali nelle reti wi-fi per situazioni critiche. Oppure si produce idrogeno per produrre meno CO2. E questi sono soltanto alcuni casi di successo.
Ma i Navigli di Leonardo da Vinci (1), sempre lui, artista e ingegnere, li riapriamo? Facciamo o no quel ponte? Da dove riparte la nautica? Come ripensiamo il territorio? E le città? Che cosa programmiamo per il prima, il durante e il dopo Expo? La prossima auto come sarà fatta?
Come dice l’attrice Laura Curino, che porta in scena Miracoli a Milano per festeggiare i 150 anni del Politecnico, come si concilia «la linea della forza con la linea della bellezza»? Con un piano fatto di Architettura, Design, Ingegneria. È questo il senso dell’innovazione, no? Sì, perché come dice sorridendo il rettore Giovanni Azzone: «Se non avessi un incarico istituzionale, potrei dire che un economista guarda al passato, un ingegnere al futuro». Il nostro Paese – suggerisce – deve «superare la paura nei confronti dell’innovazione e della capacità di giudizio, perché l’innovazione richiede scelta», per identificare il merito, e sulle idee e le iniziative che meritano vanno concentrate le (scarse) risorse.
A un evento al Politecnico sulle start-up dell’Acceleratore, due anni fa, ha partecipato anche un ex studente come Francesco Stellacci, ora docente di Scienza dei materiali a Losanna e tra i massimi esperti al mondo di nanotecnologie, dopo aver creato la sua impresa e aver insegnato al Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Boston. In quella occasione Stellacci, 38 anni, disse ai suoi futuri colleghi imprenditori dell’ingegno: «Non avrete mai successo se non sognate. E mi raccomando: ricordate che siete italiani». Sarebbe bello che anche gli italiani iniziassero a ricordarsi che sono pure ingegneri.
NOTE:
1. Gli studi di Leonardo sui Navigli milanesi furono ripresi da altri ingegneri, tra cui Giuseppe Meda. Grazie alle sue vie d’acqua, Milano nel XIX secolo era ancora uno dei più importanti porti d’Europa.